L’Antimafia ha recentemente presentato una relazione al Parlamento che offre una panoramica dettagliata della situazione della camorra nella provincia di Napoli. Questo documento evidenzia i clan più influenti e i loro territori di competenza, in un contesto di lotte interne e ristrutturazioni. Ogni clan, con le proprie articolazioni, si è adattato e ha cercato di mantenere il controllo in un panorama criminale in continuo mutamento.
Nel Golfo di Pozzuoli, secondo la relazione dell’Antimafia, il clan Longobardi-Beneduce esercita un controllo significativo. Nonostante le numerose operazioni di contrasto delle forze dell’ordine, il clan ha dimostrato una resilienza notevole, grazie a leadership carismatiche e riorganizzazioni strategiche post-arresti. Le attività illecite di cui i Longobardi-Beneduce si occupano comprendono lo spaccio di sostanze stupefacenti, l’usura, e le estorsioni ai danni di commercianti, imprenditori edili e parcheggiatori abusivi.
In particolare, a Quarto l’influenza di questo clan si manifesta attraverso il gruppo noto come “Ala Quartese”, che mantiene legami stretti con le attività del clan in tutta la zona. A Bacoli e Monte di Procida, il clan Pariante si afferma come l’articolazione dominante, pur subendo la pressione delle operazioni di polizia.
La provincia ovest è caratterizzata da un sistema di alleanze tra i diversi clan che cooperano su missioni condivise, specialmente nella gestione di traffici illeciti e nelle estorsioni. Nonostante le tensioni interne, come evidenziato nella loro crescente rivalità e nel tentativo di espansione tra i clan, il monopolio delle attività criminali è fondamentale per mantenere il controllo territoriale.
Le relazioni tra i clan, infatti, sono complesse e stratificate, con alleanze taciute che spesso nascondono frizioni violente. Ogni azione e competizione per il controllo delle attività illecite porta facilmente a rappresaglie e conflitti aperti.
Questa situazione migliora in parte le condizioni sociali nei quartieri dominati dai clan, poiché si assiste a un’instaurazione di relazioni di sudditanza e di consenso sociale, attraverso attività caritative e interventi diretti nei quartieri, che favoriscono una percezione di protezione nei confronti della popolazione locale.
Nella provincia nord di Napoli, il clan Moccia si conferma come il principale protagonista, specialmente ad Afragola. L’Antimafia sottolinea che il Moccia non solo gestisce un’organizzazione di dimensioni considerevoli, ma mantiene anche legami attivi con clan minori che agiscono come riferimenti in diverse aree circostanti. Questo sistema confederativo offre molteplicità di argomenti strategici per il clan, permettendo anche una rapida riorganizzazione in caso di arresti e colpi delle autorità.
A Caivano, la situazione è caratterizzata da un equilibrio molto fluido, dove diverse piazze di spaccio si contendono il mercato. La cattura dei vertici del clan Sautto-Ciccarelli ha aperto la strada all’ascesa del clan Gallo-Angelino, che ha saputo capitalizzare questa vulnerabilità con una strategia di controllo basata sulla costruzione di consenso sociale.
Nei diversi comuni come Giugliano in Campania e Villaricca, l’influenza del clan Mallardo è ancora dominante e si estende a molte aree limitrofe. Tuttavia, mentre i clan tradizionali mantengono il controllo su mercati consolidati, si manifesta anche una crescita di gruppi criminali meno strutturati ma più violenti. Questi nuovi movimenti presentano un approccio aggressivo alle attività illecite, agendo come emergenti sfide ai clan storicamente stabiliti.
In questi contesti, il clan Pezzella di Cardito è soggetto a nuove pressioni, con gruppi emergenti che cercano di allargare la loro influenza. L’innata instabilità e l’interrelazione tra clan costituiscono un terreno fertile per scontri che vanno dal traffico di droga all’estorsione.
Le province più meridionali di Napoli mostrano un panorama caratterizzato da contenziosi tra clan, con il clan De Luca-Bossa che ha cercato di espandere il proprio dominio a Cercola. Tuttavia, l’emergere di clan rivali come i De Micco-De Martino ha portato a uno scontro che ha ridotto il potere di De Luca-Bossa. A Portici e San Giorgio a Cremano, i Mazzarella continuano a dominare, sfruttando strutture di supporto derivate da alleanze precedenti.
L’Antimafia ha registrato tensioni costanti a Ercolano, territorio conteso tra i clan Birra-Iacomino e Ascione-Papale. Entrambi i gruppi cercano di affermare la propria predominanza, mentre l’indebolimento del clan Falanga a Torre del Greco ha aperto spazi per l’eredità degli Gallo e Gionta, ristrutturando gli equilibri di potere in tutta la regione.
Nei comuni di Castellammare di Stabia e limitrofi, il clan D’Alessandro ha saputo estendere la propria influenza anche su aree vicine come Sorrento e Gragnano. La capacità di diversificare le operazioni criminali in vari settori, tra cui traffico di droga e estorsioni, ha rappresentato una strategia vincente per mantenere il controllo.
Associazioni locali, pur mostrando resistenza, si trovano spesso in una posizione vulnerabile, poiché i clan offrono sostegno economico in cambio di consenso. Questo complesso intreccio di attività illecite e necessità sociali rende la lotta alla criminalità organizzata ancor più ardua, richiedendo un approccio multi-dimensionale da parte delle autorità.
Nella provincia est, il clan Fabbrocino rimane un attore centrale, attivo in comuni come San Giuseppe Vesuviano, nonostante la concorrenza di clan emergenti. La resilienza del clan Mascitelli a Pomigliano d’Arco e la strategia espansionistica dei Mazzarella segnano la competizione all’interno delle intersezioni criminali di questa area.
Ad un approccio vanaglorioso si oppongono clan come gli Anastasio, che riescono a mantenere il controllo di Sant’Anastasia, mentre affrontano l’impatto di gruppi come gli Orefice. Queste dinamiche evidenziano la necessità di un costante monitoraggio delle relazioni all’interno del sistema di clan.
Questo panorama criminale all’interno della provincia est di Napoli sottolinea l’importanza di rimanere vigili nei confronti delle potenziali fratture interne, delle alleanze e delle guerre di territorio. La Commissione provinciale deve tenere alto l’allerta per contrastare la proliferazione di gruppi più violenti e in grado di disturbare gli equilibri già fragili.
L’analisi dei clan nella provincia di Napoli mette in luce una rete complessa di interazioni e conflitti, che richiede non solo una strategia di intervento adeguato, ma anche un forte impegno collaterale delle comunità locali, per evitare che il potere criminale si radichi ulteriormente nel tessuto sociale.