L’incidente avvenuto nella clinica veterinaria dell’Università di Napoli ha sollevato un acceso dibattito sulla sicurezza degli operatori sanitari. La professoressa Monica Cutrignelli, coinvolta nell’attacco, condivide la sua esperienza e riflette sulla crescente violenza nei contesti sanitari.
Lunedì mattina, la clinica veterinaria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II è stato teatro di un grave episodio di violenza. La professoressa Monica Cutrignelli, insieme a una squadra di operatori sanitari, è stata aggredita da un gruppo di persone arrabbiate per la morte di un cane sottoposto a trattamento nella struttura. Secondo le dichiarazioni della Cutrignelli, “il cane era stato curato per una settimana, ma le sue condizioni erano critiche, tanto da presentare paresi agli arti e febbre alta al momento del ricovero.” Nonostante i tentativi del personale di intervenire e proteggere la professoressa, l’aggressione ha portato a colpi violentissimi che hanno richiesto sette giorni di prognosi.
Le autorità competenti sono intervenute, portando all’arresto di quattro persone coinvolte nel fatto. La Cutrignelli e altre sette persone presenti sono rimaste ferite durante l’assalto fisico, un evento che ha colpito non solo gli operatori sanitari, ma anche l’intera comunità accademica.
La professoressa Cutrignelli, dopo l’incidente, ha condiviso il suo desiderio di tornare in aula. “I miei studenti erano scossi, ma ho voluto rassicurarli sulle difficoltà del nostro mestiere,” ha dichiarato. Il suo approccio sembra puntare a mettere in luce la realtà delle aggressioni che avvengono frequentemente, sottolineando come sia fondamentale per i futuri professionisti della salute essere preparati ad affrontare simili situazioni.
L’episodio ha suscitato un’ondata di solidarietà, con colleghi e studenti che hanno espresso il loro sostegno alla Cutrignelli e al personale della clinica. La professoressa ha anche ricevuto parole di incoraggiamento dai sanitari del pronto soccorso, che spesso si trovano a fronteggiare situazioni analoghe. La sua calma e il suo desiderio di continuare a insegnare nonostante il trauma dimostrano una resilienza notevole, “lottando per ristabilire un clima di sicurezza e professionalità all’interno dell’istituzione.”
La professoressa Cutrignelli ha menzionato che, a sua insaputa, i familiari del cane avevano espresso minacce sui social media prima dell’aggressione. Questo solleva interrogativi sulla necessità di una comunicazione più efficace tra strutture sanitarie e proprietari di animali. Spesso, la frustrazione accumulata dai proprietari di animali durante trattamenti e visite può portare a espressioni di violenza, evidenziando la necessità di un approccio più empatico.
La Cutrignelli ha evidenziato che le discussioni accese durante il periodo di ricovero del cane erano già iniziate con il tentativo dei familiari di contestare le cure, sollevando preoccupazioni sulle pratiche professionali del personale. Il fatto che i familiari dell’animale fossero membri di un’associazione animalista aggiunge una dimensione intricata alla situazione, sottolineando le differenze ideologiche e le emozioni forti legate alla cura degli animali.
Questo episodio sottolinea un problema più ampio all’interno del settore sanitario: l’aumento della violenza contro gli operatori e la necessità di proteggere adeguatamente il benessere di chi lavora in setting così delicati.
La professoressa Cutrignelli ha concluso il suo racconto esprimendo tristezza per quanto accaduto e riconoscendo che le ferite più gravi sono quelle invisibili, portate dentro di sé. La violenza subita non è solo una questione di sicurezza fisica, ma rappresenta un duro colpo alla fiducia e al rispetto per il lavoro svolto dai professionisti del settore veterinario e sanitario in generale.
Con l’aumento del numero di aggressioni nei confronti del personale sanitario, la situazione solleva interrogativi cruciali sulle misure di protezione da adottare in futuro. La sensibilizzazione del pubblico riguardo alle complessità emotive e professionali della cura veterinaria è fondamentale. Un lavoro di rete tra istituzioni, associazioni e società civile potrebbe aiutare a mitigare tali episodi e costruire un ambiente più sicuro e rispettoso per tutti gli operatori del settore.