Nel suo nuovo memoir, “My Roman Year”, l’autore André Aciman esplora la sua breve ma intensamente trasformativa esperienza a Roma negli anni Sessanta. Conosciuto per il suo bestseller “Chiamami con il Tuo Nome”, Aciman ci guida attraverso una narrazione che intreccia la sua storia familiare con il contesto culturale e sociale della Città Eterna. Tra il glamour dell’epoca e le sfide della vita da profugo, il libro offre una visione unica su come la città abbia influito sulla formazione di un giovane scrittore.
La fuga dall’egitto e l’arrivo a roma
Nato nel 1943 ad Alessandria, André Aciman proviene da una famiglia sefardita con profonde radici storiche. Gli Aciman furono costretti a lasciare l’Egitto nel 1965, a causa delle politiche nazionaliste del presidente Abdel Nasser. Questo esodo segnò l’inizio di una nuova vita in Italia, un paese che, agli occhi di Aciman, rappresentava il sogno di una Dolce Vita, ispirato dalle immagini di Sofia Loren e dai film di Fellini.
Tuttavia, la realtà che il giovane sedicenne si trovò ad affrontare alla sua arrivata fu ben diversa. Aciman e la sua famiglia giunsero a Napoli, accolti in un campo profughi, privati di molte delle loro certezze e in cerca di un luogo da chiamare casa. L’appartamento che un prozio, da tempo residente in Italia, offrì loro era stata una casa di tolleranza, un retaggio della vita passata dell’uomo. Con un padre assente e solo una trentina di valigie, la famiglia tentava di ricostruire la propria esistenza in un ambiente ostile e nuovo.
Il contrasto tra le aspettative di un “benevolo” stile di vita italiano e la difficoltà della realtà quotidiana portò Aciman a rifugiarsi nella letteratura. Questo periodo di transizione, segnato dalla solitudine e dal senso di smarrimento, fu cruciale per la sua crescita personale e letteraria. Aciman ricorda di essersi immerso in autori come Proust e Kafka per sfuggire alle incertezze del mondo esterno, trovando conforto e compagnia nelle pagine dei loro libri.
L’amore e la scoperta di roma
Dopo aver creato un legame con i classici della letteratura, Aciman inizia a scoprire Roma, non solo come un centro storico carico di cultura e arte, ma anche come un posto per vivere emozioni intense e relazioni affettive. Nella seconda parte del memoir, il giovane scrittore si confronta con i suoi sentimenti di amore e desiderio. La narrazione si concentra sulle sue esperienze amorose, in particolare quelli che coinvolgono due ragazze del quartiere di Via Clelia, rappresentate in modo vivido e complesso.
Il racconto dell’innamoramento di Aciman è descritto attraverso il prisma della sua ambiguità: la vicinanza del ragazzo alla ragazza liceale e alla sarta più adulta diventa simbolo delle tensioni interne che accompagnano la scoperta di se stesso. Aggiunge un ulteriore strato di complessità ai suoi sentimenti, la figura di Gianlorenzo, un giovane che lavora al mercato, con il quale Aciman si avvicina a condividere le sue emozioni. Questi incontri non solo forniscono spunti romantici, ma mettono in luce l’evoluzione dell’identità del protagonista.
Un’identità in evoluzione
La “fluidità” dell’identità di Aciman, come sottolinea Jonathan Galassi, editor di Farrar, Straus e Giroux, è centrale nel suo appeal. Aciman rappresenta un outsider: ebreo in Egitto, egiziano in Italia ed europeo in America, la sua esperienza risuona con chi ha mai vissuto l’esperienza di non appartenere completamente a un luogo. Nel libro, lo scrittore esprime il concetto di “gente di altrove”, riflettendo su come la diaspora della sua famiglia abbia influenzato la sua vita e la sua visione del mondo.
Questo continuo stato di appartenenza tra più culture e luoghi sorgono anche come un modo di vivere che Aciman abbraccia, accettando l’assenza di radici come una condizione piuttosto che una mancanza. La scrittura diventa quindi un modo per esplorare e riconciliare le sue esperienze disparate, trasformando il dolore dell’esilio in una profonda capacità di scrittura e condivisione.
Con “My Roman Year”, Aciman non solo racconta un periodo fondamentale della sua vita, ma offre al lettore una meditazione sul significato dell’appartenenza e dell’identità, facendo di Roma non solo un campo di sfondo, ma un attore essenziale del suo racconto.