La mostra “Arca” del fotografo Antonio Biasiucci, attualmente in corso alle Gallerie d’Italia, offre un’esperienza immersiva e profonda nel mondo dell’arte fotografica. Presentata all’interno della suggestiva cornice di Palazzo Turinetti, l’esposizione raccoglie 250 opere realizzate nell’arco di quarant’anni. Ogni scatto racconta una storia, esplorando temi universali e conferendo nuova vita a esperienze quotidiane attraverso l’obbiettivo. Nonostante la domanda per un’estensione della mostra a Napoli, Biasiucci riconosce le difficoltà logistiche di un simile progetto.
Un’installazione che evoca una nave
L’ingresso nell’“Arca” di Biasiucci è simile a quello di una stiva di nave. Lo spazio, disegnato con cura dall’artista, si sviluppa lungo un corridoio avvolto da ombre che accentuano l’impatto visivo delle fotografie, prevalentemente in bianco e nero e di grande formato. Ogni immagine forma polittici che accrescono la narrazione visiva proposta. La decisione di rimuovere barriere fisiche permette una continuità tra le opere e offre ai visitatori un’esperienza immersiva e coerente. Questa scelta ha attratto un pubblico giovane, che ha risposto con entusiasmo, dimostrando l’appeal della mostra anche in una giornata infrasettimanale.
Le opere esposte coprono un arco temporale che va dal 1983 al 2023, rappresentando un’importante antologica che offre uno spaccato del percorso artistico di Biasiucci. La mostra non è solo un’esibizione visiva, ma una riflessione profonda sulla ricerca del significato nell’arte e nella vita stessa. Particolare attenzione è riservata a un tema ricorrente nelle opere dell’artista: gli ex voto. Biasiucci stesso racconta come la fotografia sia stata una forma di salvezza e cura per lui, rivelando un legame profondo tra la sua vita personale e il suo lavoro.
Cicli fotografici e metodo artistico
Tra le caratteristiche distintive della ricerca di Biasiucci c’è l’attenzione alla realtà e agli oggetti nella loro essenza più pura. Nei suoi cicli fotografici, come “Pani,” “Corpo ligneo” e “Corpo latteo”, l’artista esplora gli elementi quotidiani, per esempio la mozzarella o i pezzi di legno, riducendoli a rappresentazioni minimaliste. Questa eliminazione del superfluo segue un metodo che ricorda un processo alchemico di distillazione dell’essenza. Biasiucci attribuisce parte del suo approccio a Antonio Neiwiller, un rinomato artista del teatro, con cui ha collaborato.
Neiwiller credeva nella fusione dell’esperienza personale con l’arte, quindi Biasiucci applica un approccio simile nella sua fotografia, permettendo che la sua visione si riverberi in quella del pubblico. Questa tecnica consente agli oggetti fotografati di acquistare una dimensione quasi universale; le vacche, ad esempio, diventano paesaggi, e i tronchi d’albero si trasformano in figure umane. Tuttavia, Biasiucci chiarisce che la sua intenzione non è mai quella di astrarre, ma di rimanere ancorato alla realtà, affermando con fermezza: “Per me le vacche restano vacche.”
La simbolica assenza di coordinate temporali e spaziali
Una particolare peculiarità delle opere di Biasiucci consiste nella mancanza di coordinate temporali e spaziali riconoscibili. Le fotografie del ciclo “Magma” sono caratterizzate da scale differenti, generando nel visitatore un continuo interrogativo: si trova di fronte a un panorama vasto o a un dettaglio intimo? Questo approccio riflette la prospettiva dell’artista, che si ispira ai fenomeni naturali e alla loro complessità. Biasiucci parla del vulcano come simbolo della creazione e della trasformazione, richiamando anche il romanzo “Alonso e i visionari” di Anna Maria Ortese come fonte di ispirazione.
La sua carriera inizia con opere come “Vapori,” che rappresentano rituali antichi come l’uccisione del maiale, con Biasiucci che adotta il punto di vista dell’animale. Da “Impasto”, degli anni ’90, il fotografo si concentra sull’atto di lavorare la farina, esprimendo la potenza della creatività attraverso il gesto. L’evoluzione tecnologica, contrariamente a quanto si possa pensare, non ha influito negativamente sulla sua pratica: “Mi porto dietro la mentalità analogica, ma il digitale non mi ha creato traumi,” afferma Biasiucci, mostrando la sua capacità di integrare innovazione e tradizione.
Un’arte che parla di sacralità e integrazione
La produzione artistica di Biasiucci trascende la semplice rappresentazione, rivelando una forte percezione della sacralità delle persone e delle cose. Questa tensione etica emerge chiaramente nel progetto “The dream,” avviato nel 2016 nei campi profughi di Chios. Qui, Biasiucci mirava a rappresentare la vulnerabilità dei migranti attraverso i dettagli delle loro mani, volti e corpi. Ogni immagine doveva evocare una narrazione di offerta e sacralità, ma si è trovato a dover affrontare le preoccupazioni di alcuni migranti libici che credevano che volesse creare foto segnaletiche.
Ciò ha portato Biasiucci a coinvolgere Rouaf, un profugo curdo, che ha collaborato scattando ritratti ispirati a ciò che Biasiucci gli ha insegnato. Questo incontro ha reso possibile una reale integrazione tra due persone provenienti da contesti culturali diversi, trasformando un semplice progetto artistico in un autentico scambio umano. Ciononostante, Biasiucci sostiene che l’arte deve continuare a riflettere le complessità della nostra società, affrontando tematiche e incertezze della contemporaneità.