Salvatore Orabona, noto come “Cuglitiello”, è stato arrestato nella località di Pignataro Maggiore. L’uomo, boss del clan dei Casalesi, dovrà scontare una pena di nove anni e quattro mesi di carcere. Questa condanna è il risultato di un tentato omicidio avvenuto nel 2001, un evento che ha segnato duramente la storia della criminalità organizzata in Campania. La polizia di Caserta, dopo aver ricevuto un ordine di esecuzione, ha localizzato Orabona mentre si trovava in un casolare di campagna, dove ha tentato una fuga disperata prima di essere catturato.
L’episodio che ha portato alla condanna di Orabona risale al 20 luglio 2001. In quell’occasione, si consumò un agguato ad Aversa, dove l’arrestato giocò un ruolo significativo nel supporto logistico della ferocia del raid. La vittima, che apparteneva a un gruppo criminale autonomo, era una minaccia per il clan dei Casalesi poiché stava iniziando a estorcere denaro sul territorio senza versare i proventi al clan stesso. Il tentativo di omicidio, avvenuto in un contesto di feroce competizione tra bande, ha evidenziato l’intolleranza del clan nei confronti di ogni forma di dissenso e concorrenza.
Il tentato omicidio di Aversa è emblematico del clima di paura e violenza che regnava e continua a regnare in alcune aree della Campania. Orabona ha orchestrato l’attacco utilizzando armi da fuoco, il che ha incrementato la gravità della sua condotta criminosa. La frase “aggravato dal metodo mafioso”, presente nella sentenza, sottolinea l’importanza di evidenziare il contesto mafioso del crimine, in un’epoca in cui la lotta alla mafia è ancora una priorità per le forze dell’ordine.
Nato e cresciuto nell’ambiente malavitoso del Casertano, il 52enne Orabona ha iniziato la sua carriera come figura di spicco all’interno del clan. La sua ascensione nel mondo della criminalità non è stata casuale; egli ha ricoperto ruoli strategici nel clan, diventando un rappresentante influente soprattutto nel territorio di Trentola Ducenta. Questa località ha storicamente rappresentato un feudo del clan, evidenziando come le radici del crimine organizzato siano spesso ben ancorate nei territori locali.
Orabona è stato sottoposto a numerose indagini per una serie di reati, che spaziano dall’estorsione al riciclaggio, fino ad arrivare al ricorso all’omicidio. Durante la sua carriera, ha ereditato gli insegnamenti dei suoi predecessori e ha contribuito a consolidare la presenza dei Casalesi in varie zone della Campania. La sua esperienza nel campo della criminalità ha inevitabilmente attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, portando a un costante monitoraggio delle sue attività.
Negli ultimi anni, Salvatore Orabona ha intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia che ha rivelato particolari inquietanti sul clan dei Casalesi. Questa scelta, avvenuta nel 2016, ha rappresentato una netta inversione rispetto alla sua vita di delinquente. Tuttavia, la sua collaborazione non è durata a lungo; nel 2021, il programma di protezione gli è stato revocato a causa di gravi violazioni delle intese stipulate.
La decisione di collaborare è spesso vista nel contesto delle pressioni interne ed esterne che caratterizzano il mondo della criminalità organizzata, dove le alleanze sono fragili. Chi opta per il pentimento deve affrontare non solo l’eventuale ire dei propri ex alleati, ma anche una vita segnata da insicurezza e precarietà. Il suo rescissione dal programma di protezione fa emergere la delicata e rischiosa equazione di chi decide di rivoluzionare la propria esistenza, scoprendo che il passaggio da criminale a collaboratore può avere esiti imprevedibili.
La carriera di Orabona, con i suoi alti e bassi, è un valido esempio delle complicate dinamiche che caratterizzano le organizzazioni mafiose. Solo nel 2008, egli è riuscito a sfuggire a un attentato orchestrato dal boss Giuseppe Setola, noto per la sua spietatezza. Questo episodio evidenzia l’insicurezza e i rischi che i membri del clan devono affrontare non solo da parte delle forze dell’ordine, ma anche all’interno della stessa organizzazione.
Setola, con il suo inarrestabile piano di vendetta, ingaggiò un gruppo armato per eliminarlo, sparando un numero impressionante di colpi di kalashnikov in quella che si può definire un’azione di guerra urbana. La scena è stata immortalata grazie a intercettazioni ambientali che rivelarono l’ordine di sterminio dato dal boss. Ciò offre uno sguardo inquietante sulla brutalità e il cinismo caratteristici di tali conflitti interni, in cui gli affiliati possono diventare facilmente nemici.
La cattura di Salvatore Orabona rappresenta un ulteriore passo nella lotta contro la criminalità organizzata, un’azione che dimostra l’impegno costante delle forze dell’ordine nel contrastare le attività mafiose e nel ripristinare la legalità in un territorio troppo spesso segnato da tali odi e rivalità.