L’ex calciatore della Nazionale italiana, Beppe Dossena, interviene sul dibattito riguardante la presunta eccessiva quantità di partite giocate dai calciatori. Parlando con l’agenzia Adnkronos, Dossena sottolinea come numerosi dati dimostrino che il numero di incontri disputati dai club è rimasto sostanzialmente stabile nel corso degli anni, nonostante un aumento esponenziale degli stipendi. Questo tema continua a sollevare interrogativi tra tifosi, sportivi e professionisti, che si chiedono se le lamentele giunte dai giocatori e dai loro rappresentanti siano giustificate.
L’analisi dei dati: un confronto tra passato e presente
Dossena cita uno studio realizzato dal centro indipendente svizzero CIES, il quale ha messo in evidenza come i club calcistici, come il Real Madrid, abbiano mantenuto un numero di partite giocato simile negli ultimi due decenni. Ad esempio, il Real Madrid ha disputato 59 partite nella stagione 2003-2004, mentre nella stagione 2023-2024 sono state 55, con un brusco incremento degli stipendi da poco più di 98 milioni a oltre 326 milioni. Questi dati suggeriscono che, nonostante la crescente paura di una saturazione del calendario e dei carichi di lavoro, le condizioni di gioco dei calciatori non siano radicalmente cambiate rispetto al passato.
Dossena si domanda se questa percezione di un aumento delle partite giocate non sia influenzata da fattori esterni, come le pressioni dai media e le paure collegate a infortuni potenziali. Definendo i numeri come “parlanti”, invita a una riflessione profonda su cosa significhino davvero queste lamentele, se i dati non supportano l’idea di un calendario eccessivo. Allo stesso tempo, evidenzia che la questione va affrontata in modo serio, considerando l’importanza del benessere e della salute degli atleti.
Il rischio infortuni e la sua correlazione con il numero di partita
Il campione del mondo ’82 mette in evidenza un’altra problematica importante: la questione degli infortuni. È noto che giocare un numero elevato di partite possa aumentare il rischio di infortuni, ma Dossena si interroga su quanto possa essere diretta la correlazione tra il volume di partite e il rischio effettivo di infortunarsi. Secondo la sua esperienza e le opinioni di alcuni medici, non è sempre chiaro se la maggiore esposizione al gioco si traduca necessariamente in un aumento degli infortuni.
Dossena sottolinea che ci potrebbe essere la necessità di un tavolo di discussione per chiarire diversi aspetti legati a quest’argomento. La dinamica tra club e federazioni è complessa e, a suo avviso, è giusto che le federazioni facciano la loro parte nel risarcire i club in caso di infortuni subiti dai calciatori durante le competizioni internazionali. Tuttavia, enfatizza anche l’importanza di non lasciare che la retorica dell’eccesso di partite si diffonda, poiché potrebbe generare misunderstanding e false aspettative.
La situazione attuale delle competizioni calcistiche
Uno studio del CIES, intitolato “Calendario dei match d’élite e carico di lavoro dei giocatori”, ha rivelato informazioni interessanti sulla partecipazione dei calciatori e la loro distribuzione delle ore di gioco. Tra il 2012 e il 2024, solo lo 0,88% dei calciatori dei 40 campionati esaminati ha giocato più di 4500 minuti in un anno. Questa percentuale si traduce in una media annuale di circa 169 calciatori, dimostrando che la maggior parte dei calciatori non supera un carico di lavoro ritenuto eccessivo.
Inoltre, l’analisi ha mostrato che i giocatori partecipano mediamente a 1,68 partite a stagione con un intervallo di massimo 72 ore tra i calci d’inizio. La grande maggioranza delle partite si concentra nei campionati nazionali, rappresentando il 76,3% del totale. Le competizioni internazionali per club e le partite delle nazionali coprono rispettivamente il 14,7% e il 9,0%. Questi dati dimostrano che, contrariamente alle preoccupazioni diffuse, la maggior parte dei calciatori non affronta carichi di lavoro eccessivi, suggerendo la necessità di un’informazione più accurata da parte dei media e dei professionisti dello sport per evitare di alimentare miti infondati sulla carriera degli atleti.
La rilevazione attuale della FIFA sulle competizioni internazionali, che rappresenta solo una piccola parte del panorama calcistico, è un ulteriore elemento da considerare nel dibattito: l’ente non organizza la maggior parte delle competizioni e la programmazione avviene con un periodo di pianificazione di cinque anni. Questi argomenti richiedono un’analisi raccomandabile per garantire che la salute dei calciatori e la sostenibilità del calendario calcistico siano gestite in un contesto di obiettivi lungimiranti.