Clan e criminalità: telefonate minatorie dal carcere, un problema in crescita in Italia

Le minacce provenienti dagli istituti penitenziari rappresentano una crescente preoccupazione nel contesto della criminalità organizzata in Italia. Il caso di un panettiere di Casalnuovo che ha ricevuto telefonate intimidatorie direttamente da un carcere segna un episodio emblematico nel quale si evidenzia la continua influenza delle organizzazioni mafiose, anche alle spalle delle sbarre. La denuncia giunge dal segretario generale del S.P.P., Aldo Di Giacomo, il quale mette in luce un fenomeno allarmante: grazie all’uso di smartphone di ultima generazione, i clan sono in grado di impartire ordini, estorcere e minacciare indisturbati.

L’influenza delle tecnologie nella criminalità

L’avvento della tecnologia mobile ha trasformato gli istituti penitenziari in centri di comando per le organizzazioni criminali. Non solo gli smartphone vengono utilizzati per creare contenuti per piattaforme social come TikTok, ma anche per comunicare con l’esterno e condurre affari illeciti. Di Giacomo evidenzia che il problema è radicato: le comunicazioni tra detenuti e affiliati ai clan sono diventate quotidiane e continuamente operative, con un effetto diretto sulla criminalità nei territori circostanti.

Gli episodi di violenza e intimidazione sono straordinariamente numerosi. La capacità dei detenuti di comunicare e controllare le attività criminali dall’interno delle carceri ha effetti devastanti sulla società e sulla sicurezza pubblica. Questo fenomeno non solo incute paura tra i cittadini, ma scoraggia anche la collaborazione della popolazione con le forze dell’ordine. L’inibizione alla denuncia è una diretta conseguenza di tali intimidazioni, con solo il 7-8% delle vittime che si sente sicuro a denunciare estorsioni o altri crimini. Di Giacomo sottolinea che la paura alimenta il silenzio e la rassegnazione tra le persone, una condizione che ha radici profonde nella difficoltà di affrontare il potere dei clan.

L’assenza di interventi efficaci da parte delle autorità

Nonostante le ripetute segnalazioni e le denunce da parte dei rappresentanti sindacali, l’Amministrazione Penitenziaria sembra trascurare la gravità della situazione. Secondo Di Giacomo, le istituzioni continuano a non affrontare con fermezza la questione, ignare dei casi di summit mafiosi svolti attraverso piattaforme di videoconferenza come Skype, che portano a ordini di omicidi e azioni intimidatorie nei confronti di chi potrebbe denunciare.

La proposta di inasprire le pene per i detenuti sorpresi con smartphone è una delle soluzioni avanzate dal sindacato. L’idea è quella di fermare il flusso di comunicazioni che permette ai crimini di proliferare anche all’interno delle mura carcerarie. I dati sull’uso di droni per l’introduzione di telefoni nei penitenziari sono indicativi di una problematica che richiede un intervento deciso e tempestivo. Replicare l’approccio restrittivo dall’esterno degli istituti alle condizioni di vita all’interno è essenziale per ridurre il potere dei clan e ripristinare il rispetto per le leggi.

L’indignazione delle vittime e le conseguenze sociali

La questione delle minacce telefoniche dal carcere risveglia sentimenti forti tra i cittadini, in particolare tra coloro che hanno subito violenza o perdite significative. Il dolore e la frustrazione di una mamma che ha perso una figlia o di un padre che ha subito un furto, rincarati dalle telefonate minatorie, evidenziano la gravità della situazione. Per queste persone, la consapevolezza che i criminali possano agire senza timore di conseguenze legali genera una rabbia e un’indignazione reali.

L’inerzia delle istituzioni e la percezione di un “buonismo” nei confronti dei detenuti contribuiscono a un clima di impotenza, dove le vittime si sentono lasciate sole e abbandonate dal sistema. La disconnessione tra le politiche carcerarie e il benessere sociale continua a esacerbare le ansie di chi ha già subito traumi profondi. L’assenza di una risposta chiara e risoluta da parte delle autorità e la mancanza di misure adeguate esacerbano ulteriormente la situazione, sollevando interrogativi sulla volontà e sull’efficacia del sistema penitenziario italiano nel fronteggiare la criminalità organizzata.

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Filippo Grimaldi