La storia di Tommaso Ricozzi ha catturato l’attenzione dei media, segnando una fase delicata nella gestione della sanità pubblica in Italia. A circa dieci anni dall’inizio delle indagini, la Corte d’Appello di Napoli ha recentemente condannato il radiologo, ex dirigente dell’ospedale Loreto Mare, a risarcire l’Asl per oltre 160mila euro. Al centro della controversia, le accuse di abbandono del posto di lavoro per giocare a tennis e di svolgimento di attività lavorativa privata in violazione dei doveri professionali.
La condanna in appello di Ricozzi segue una sentenza di primo grado, emessa il 30 novembre 2022, in cui i reati si erano estinti per prescrizione. L’Asl Napoli 1, rappresentata dall’avvocato Gennaro De Falco, ha però deciso di ricorrere in appello, avviando un nuovo ciclo processuale. La Corte, presieduta dalla giudice Loredana Di Girolamo, ha stabilito che Ricozzi e un collega avevano procurato un “ingiusto profitto”, sfruttando il loro incarico pubblico. L’accusa fondamentale riguardava la violazione del contratto di esclusività con l’ente ospedaliero, tanto da indurre i giudici a giudicare provate le contestazioni.
La Corte d’Appello ha tenuto conto di un periodo di sospensione delle udienze, andato dal 23 febbraio al 21 settembre 2018, che non era stato considerato nella sentenza di primo grado. Questa omissione ha portato al ricalcolo dei termini di prescrizione del reato, essenziale per il proseguimento del processo. Di conseguenza, i medici sono stati ritenuti responsabili di non aver comunicato le loro attività extra, rimanendo così in possesso di indennità non meritata. Uno sviluppo che anticipa probabili ricorsi in Cassazione da parte dei professionisti coinvolti, dando vita a un ulteriore capitolo di questa intricata vicenda legale.
Le motivazioni della condanna in appello hanno evidenziato la violazione delle clausole contrattuali di esclusività da parte di Ricozzi e del suo collega. La sentenza ha chiarito: “Violando il rapporto di esclusiva cui si erano contrattualmente impegnati e omettendo di comunicare lo svolgimento di attività extra moenia, inducevano in errore le amministrazioni di appartenenza circa la persistenza di un rapporto di lavoro totalizzante.” Questa condotta ha garantito loro il diritto a percepire indennità, per le quali non avevano titolo.
L’analisi condotta dai giudici d’appello si è concentrata sull’assenza di considerazione di specifici periodi, eventi che, a loro avviso, avrebbero potuto cambiare l’esito del processo. La decisione di riconsiderare il tempo di sospensione ha avuto un forte impatto sulla determinazione della responsabilità degli imputati. Questa pronuncia dei magistrati potrebbe dare inizio a un contenzioso ulteriore, dato che i legali difensivi di Ricozzi e del suo collega potrebbero presentare ricorsi, portando così alla possibile revisione del caso.
Il caso di Tommaso Ricozzi ha attratto l’attenzione dei media per la singolarità delle accuse, in particolare per il fatto di aver lasciato il lavoro per partecipare a una partita di tennis. Il 3 novembre 2014, documenti dei carabinieri attestano la sua presenza all’ospedale Loreto Mare dalle 8:08 fino alle 13:45. Secondo le indagini, avrebbe dovuto rimanere in servizio fino alle 19:51. Tuttavia, durante la pausa pranzo, viene seguito fino a un centro sportivo dove si sarebbe svolta una partita di tennis, per poi dirigersi a una gioielleria senza mai tornare al lavoro.
Nonostante l’analisi delle timbrature del badge di Ricozzi mostrasse la sua presenza all’ospedale, il radiologo ha sempre sostenuto che si trattasse di un errore di sistema, aggiungendo che il suo turno di lavoro non era compatibile con un orario continuativo dalle 8 alle 20. La notizia ha scatenato un ampio dibattito mediatico, trasformando questa controversia professionale in un caso di interesse collettivo, suscitando l’attenzione di numerosi giornali e canali informativi.
All’interno di questo contesto, un altro aspetto rilevante riguarda l’impiego di Ricozzi al “Centro Augusto”, un’istituzione diagnosticativa che inizialmente era intestata alla sua ex moglie, e che era operante dal 1996. Nel corso dell’inchiesta, emerse il fatto che, dopo le perquisizioni all’ospedale Loreto Mare, Ricozzi decise di dimettersi nel 2015 e concentrarsi sul centro diagnostico di famiglia. Tale scelta si rivelò determinante, poiché provocò l’avvio di perquisizioni e accertamenti di vario genere.
L’esposto sull’attività di Ricozzi al Centro Augusto portò a indagini approfondite, con pedinamenti e intercettazioni che rivelarono persino incontri con Antimo Cesaro, un personaggio noto nel settore medico e coinvolto in annose controversie legate a inchieste per presunti legami con il clan camorristico Puca. La visibilità e l’influenza di Cesaro nel panorama del settore sanitario campano hanno fatto sì che l’intera questione assumesse contorni ancora più intricati, amplificando le già difficili circostanze legali in cui si trovava Ricozzi.