La procura generale di Napoli ha dato esecuzione a una recente ordinanza emessa dalla Corte di Appello, che ha confermato la condanna all’ergastolo per quattro affiliati a un clan di camorra di Pozzuoli. I condannati, Gaetano Beneduce, Gennaro Longobardi, Salvatore Cerrone e Nicola Palumbo, sono stati ritenuti colpevoli del duplice omicidio di Domenico Sebastiano e Raffaele Bellofiore, uccisi nel settembre del 1997. Questo articolo analizza i dettagli del caso e il contesto della criminalità organizzata nella regione.
Il duplice omicidio di Domenico Sebastiano e Raffaele Bellofiore è avvenuto il 16 settembre 1997 nel rione Toiano a Pozzuoli. Le vittime sono state colpite a colpi di fucile a canne mozze da un gruppo di uomini legati al clan Longobardi-Beneduce, che all’epoca cercava di affermarsi come forza dominante nella malavita locale. La ferocia e la modalità di esecuzione dell’omicidio hanno sollevato allerta tra le forze dell’ordine, che hanno intensificato le indagini sulla criminalità organizzata nella zona. Nonostante le difficoltà nell’acquisire prove concrete in un contesto di omertà e paura, le investigazioni portate avanti dalla polizia hanno fatto emergere analogie e collegamenti tra il clan di Pozzuoli e altri gruppi malavitosi, come il clan Polverino di Quarto.
Questo duplice omicidio non è stato un evento isolato, ma parte di una serie di violenze e lotte per il controllo del territorio che caratterizzavano l’epoca. La strategia del clan Longobardi-Beneduce di utilizzare un’alleanza con il clan Polverino ha dimostrato come la criminalità organizzata potesse unire risorse e forze per raggiungere i propri obiettivi, anche a costo di perpetrare atrocità.
Il percorso legale che ha portato alla condanna dei quattro imputati è stato lungo e complesso. La condanna iniziale era stata emessa dal giudice per le indagini preliminari , ma successivamente è stata confermata in secondo grado il 2 febbraio 2021. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte di Appello il 14 luglio dello stesso anno. Solo dopo un’istruttoria che ha visto il coinvolgimento di diversi collaboratori di giustizia, che hanno fornito testimonianze cruciali, la Corte di Appello ha ristabilito i condannati, confermando la pena a vita.
Questi collaboratori, noti come “pentiti”, hanno avuto un ruolo decisivo, ampia parte del processo ha riguardato le loro dichiarazioni sull’organizzazione criminale e sulle dinamiche che hanno portato all’omicidio. Il supporto ottenuto dai membri del clan Polverino ha facilitato l’esecuzione dell’agguato, mostrando come le alleanze tra clan rivali siano state cruciali per consolidare il potere della camorra. Tuttavia, la sentenza del 28 luglio scorso, pur confermando le condanne, rimane aperta al ricorso in Cassazione, il che implica che la vicenda giudiziaria non è ancora del tutto chiusa.
La condanna all’ergastolo per i quattro membri del clan Longobardi-Beneduce rappresenta un’importante vittoria per le autorità nel loro sforzo di combattere la criminalità organizzata nella zona di Pozzuoli. Tuttavia, la situazione rimane complessa, poiché il clan continua a esercitare una certa influenza nel territorio, alimentando preoccupazioni circa la possibilità di ritorsioni o vendette. La reazione del gruppo criminale a questa condanna sarà monitorata con attenzione. Le autorità locali, insieme alle forze dell’ordine, sono chiamate a rimanere vigilanti, implementando misure preventive per ridurre al minimo il rischio di ulteriori violenze.
La presenza di gruppi malavitosi alleati, come avvenuto tra il clan Longobardi-Beneduce e quello Polverino, suggerisce che la lotta contro la camorra è un compito arduo e impegnativo, che richiede coordinazione e risorse. L’analisi costante delle dinamiche interne ai clan è quindi fondamentale per prevenire futuri reati e garantire la sicurezza dei cittadini in un contesto storicamente caratterizzato dalla criminalità organizzata.