In un episodio che ha suscitato indignazione e preoccupazione, una madre ha deciso di rendere pubblica la difficile esperienza vissuta dalla propria figlia presso l’Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. La giovane paziente, affetta da morbo di Crohn fistolozzante, ha visto piuttosto che ricevere il supporto necessario, affrontare un trattamento che la madre definisce intollerante e inadeguato. Questo racconto mette in luce problematiche più ampie riguardanti la gestione delle malattie croniche e l’importanza dell’empatia nel settore sanitario.
La difficile esperienza di una giovane paziente
Il 15 ottobre, la giovane è stata trasportata in ospedale con un’ambulanza a causa di forti dolori addominali post-operatori. Giunta nel pronto soccorso, è stata immediatamente visitata da un medico che ha ritenuto opportuno richiedere l’intervento di un chirurgo. Tuttavia, il comportamento del professionista ha suscitato sconcerto. La madre racconta che il chirurgo, anziché prestare attenzione alla gravità della situazione, ha reagito in maniera nervosa e sminuente, lasciando la ragazza in uno stato di grande agitazione.
Quando la giovane ha cercato di spiegare le sue condizioni e il recente intervento subito, il chirurgo ha messo in dubbio la veridicità delle sue affermazioni, suggerendo addirittura che i dettagli della sua malattia andassero discussi in “altre sedi”. Questo atteggiamento, percepito come un attacco personale alla dignità della paziente, ha contribuito ad aumentare il livello di ansia per la giovane e la sua famiglia.
La madre esprime il proprio disappunto, sottolineando anche che simili situazioni si sono ripetute in passato, rendendo la giovane vulnerabile di fronte ai pregiudizi e alla scarsa empatia mostrata da alcuni membri del personale medico. La frustrazione dei genitori è amplificata dal fatto che la ragazza combatte una malattia cronica, spesso mal compresa e stigmatizzata.
Riflessioni sulla gestione delle malattie croniche
La storia di questa giovane è emblematica di un problema più ampio che riguarda molti pazienti con malattie croniche. Il morbo di Crohn è una patologia complessa, che richiede un intervento non solo medico, ma anche relazionale. È fondamentale che i professionisti della salute comprendano la sofferenza dei pazienti e si approccino con umanità e sensibilità, piuttosto che con scetticismo o arroganza.
La madre ha messo in evidenza come, nel reparto di chirurgia, aleggi una convinzione errata riguardante le pazienti con questa malattia, che vengono etichettate come “mitomani” o “autolesioniste”. Tali pregiudizi non solo influiscono sulla qualità delle cure, ma possono anche avere conseguenze devastanti sul benessere psicologico dei pazienti. Le malattie croniche richiedono un approccio multidisciplinare e l’integrazione di specialisti che non solo si occupino dell’aspetto fisico, ma anche di quello emotivo.
Per questo motivo, le istituzioni sanitarie devono lavorare per garantire che siano adottate pratiche di formazione continua mirate a migliorare la comunicazione e l’empatia nel contesto clinico. Solo in questo modo sarà possibile ridurre la stigmatizzazione dei pazienti e garantire un trattamento equo e rispettoso.
La richiesta di aiuto e intervento
Nel suo racconto, la madre sottolinea anche una richiesta di intervento da parte di assistenti sociali e psichiatri, evidenziando il protocollo che, a suo dire, dovrebbe essere rivisto. “Perché consigliare lo psichiatra per una malattia cronica infiammatoria?” si chiede, riflettendo su come questo tipo di approccio possa non solo essere inadeguato, ma anche controproducente.
In una realtà in cui le malattie croniche possono portare a una sofferenza prolungata, è essenziale rispondere con calore e comprensione, evitando di far sentire i pazienti come se stessero cercando attenzioni giustificate. La richiesta di Alessandra Guerriero è chiara: si augura che la sua denuncia possa servire come esempio per le altre famiglie che si trovano ad affrontare situazioni simili, nella speranza che il sistema sanitario possa evolversi verso un trattamento più umano e compassionevole.
Questo episodio mette in luce anche la necessità di un dialogo aperto tra pazienti, famiglie e professionisti, affinché ogni parte possa sentirsi ascoltata e rappresentata. Le storie di vita di chi combatte una malattia non possono essere banalizzate e devono invece diventare parte integrante della formazione e della pratica medica.