In un contesto europeo guidato da una crescita occupazionale, il Mezzogiorno d’Italia si afferma come uno dei territori con le più basse percentuali di lavoro, con un tasso d’occupazione che si attesta al 48,4%. A confronto, aree come la Martinica e le altre regioni d’oltremare francesi superano abbondantemente il 50%. L’analisi dei dati di Eurostat mette in luce le sfide strutturali e le politiche necessarie per affrontare questa situazione.
Le isole francesi di Martinica, Guadalupe e Guyane sembrano aver intrapreso un cammino positivo, con tassi di occupazione che superano rispettivamente il 66,2% e il 50%. Questo contrasto è ancora più marcato se si confrontano con le regioni italiane, come la Campania e la Calabria, che non riescono ad andare oltre il 48,4%. Anche le regioni spagnole, come l’Extremadura e l’Andalusia , mostrano risultati migliori, così come la Bosnia ed Erzegovina, che raggiunge il 60% nonostante il suo passato segnato dai conflitti.
Queste realtà hanno dimostrato di sapersi rialzare attraverso politiche occupazionali mirate e una gestione più efficace dei fondi strutturali europei. In Italia, purtroppo, i continui tagli alle risorse destinate al Mezzogiorno hanno reso difficoltosa la creazione di progetti a lungo termine in grado di stimolare lo sviluppo e l’impiego. Le risorse disponibili sono spesso utilizzate solo per rispondere a necessità immediate piuttosto che per costruire un futuro economicamente sostenibile.
Secondo le ultime rilevazioni di Eurostat, nel 2023 l’Italia meridionale ha confermato la sua posizione di “maglia nera” in Europa per quanto riguarda il tasso di occupazione tra le persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, con dati che si discostano significativamente dalla media continentale, pari al 75,3%. Questo gap è particolarmente preoccupante se si considera che, nonostante alcuni segnali positivi nel mercato del lavoro italiano, il tasso di impiego tra i cittadini sud italiani rimane un decimo sotto la media europea.
Ulteriori sfide emergono dal tasso di occupazione femminile, anch’esso particolarmente basso nel Sud Italia. Le statistiche evidenziano una difficoltà nel favorire l’inclusione lavorativa delle donne, fattore cruciale per un miglioramento globale del tasso di occupazione in queste aree. Le politiche di supporto al lavoro femminile in altri paesi europei si sono rivelate efficaci e potrebbero costituire un modello per le regioni italiane.
Il livello di disuguaglianza tra le regioni italiane è un problema di lungo corso. Secondo i dati forniti da Eurostat, l’Italia detiene uno dei primati per disparità regionali in ambito lavorativo, con un coefficiente di variazione pari al 16,3%, il più alto nell’Unione Europea. Solo le belghe e romene seguono questo trend di disuguaglianza. Questo fenomeno è ancor più evidente osservando le statistiche riguardanti l’occupazione in città come Varsavia, dove il tasso ha raggiunto l’86,5%, mentre alcune regioni italiane, come la Campania, la Calabria e la Sicilia, si attestano notevolmente sotto la soglia del 50% di occupati.
L’analisi dei dati di occupazione suggerisce che altre nazioni, come Portogallo e Danimarca, hanno implementato politiche più efficaci per limitare queste disparità. Questi paesi mostrano tassi di occupazione più uniformi in tutto il loro territorio, mentre le città italiane sono spesso teatro di forti discriminazioni occupazionali, con una scarsa attenzione per le necessità locali. Qualsiasi intervento destinato a colmare il divario occupazionale richiederà una strategia coordinata e l’impegno a investire in iniziative di sviluppo regionale a lungo termine.