Le lunghe attese nei reparti di emergenza rappresentano un problema crescente nel sistema sanitario, come rivelano studi recenti. La questione delle attese infinity in barella nei pronto soccorso emerge con prepotenza, in particolare nel contesto del Regno Unito, dove i dati statistici mettono in luce una preoccupante correlazione tra i tempi di attesa e i tassi di mortalità dei pazienti. La crisi sanitaria causata da sovraffollamento e aumento delle infezioni respiratorie ha messo a dura prova la capacità del Servizio Sanitario Nazionale . L’analisi di questi dati è fondamentale per comprendere la gravità del problema e la necessità di interventi per garantire la sicurezza dei pazienti.
I dati significativi del Regno Unito
Un’analisi condotta dall’Office for National Statistics ha rivelato risultati allarmanti sui tempi di attesa in pronto soccorso. Con l’Nhs che affronta uno degli inverni più critici di sempre, la pressione sugli ospedali è aumentata considerevolmente. I freddi numeri parlano chiaro: tra i pazienti che hanno atteso oltre 12 ore, il rischio di morte entro 30 giorni è più del doppio rispetto a coloro che sono stati visitati entro 2 ore. Solo il 71,1% dei pazienti viene ricevuto entro le 4 ore stabilite come obiettivo, evidenziando disfunzioni nel sistema sanitario.
Durante il mese di dicembre, i dati statistici hanno illustrato una situazione drammatica. Oltre al crescente sovraffollamento, si è registrato un incremento delle attese, con segnalazioni di pazienti bloccati fino a 30 ore in pronto soccorso per ricevere assistenza. Storie come quella di un’anziana paziente di 94 anni, costretta a rimanere in un’ambulanza per 60 ore in attesa di essere visitata, hanno catturato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, sottolineando la gravità della condizione attuale.
Analisi dei dati e rischio di mortalità
L’analisi dell’Ons è stata condotta su circa 6,7 milioni di cartelle cliniche di pazienti che si sono recati in pronto soccorso tra il 21 marzo 2021 e il 30 aprile 2022, con particolare attenzione a chi non è deceduto durante il periodo di attesa. Di questi, l’1,3% è morto entro 30 giorni dalla dimissione. I risultati indicano chiaramente che più a lungo un paziente rimane in pronto soccorso, maggiore è il rischio di morte.
I dati evidenziano un incremento significativo del rischio di morte post-dimissione in base ai tempi di attesa. Ad esempio, solo lo 0,02% dei pazienti di età pari o superiore a 20 anni decede dopo un’attesa di massimo 2 ore. Ma questa percentuale aumenta a 0,8% per gli over 80. Un’analisi più dettagliata mostra che il rischio di morte cresce esponenzialmente, passando da 1,1 volte maggiore per attese di 3 ore a 2,1 volte più alto per coloro che aspettano 12 ore.
Il dottor Adrian Boyle, presidente del Royal College of Emergency Medicine, ha commentato le scoperte dell’Ons, evidenziando l’importanza di questi dati per il miglioramento della sicurezza dei pazienti. “Le ricerche devono stimolare un’azione urgente, poiché il problema non può più essere ignorato.”
Necessità di un intervento politico
Gli esperti concordano sul fatto che l’attuale situazione richieda misure politiche immediate. Secondo Boyle, “è essenziale riconoscere l’entità del problema e attivare un dibattito pubblico per progettare soluzioni adeguate.” I dati dimostrano inequivocabilmente che le attese prolungate in pronto soccorso danneggiano i pazienti e possono condurre a esiti fatali. Emergono interrogativi anche sull’adeguatezza delle politiche sanitarie esistenti e sulla necessità di approntare risorse aggiuntive per il settore.
L’analisi ha anche messo in risalto il fatto che non tutti i fattori correlati al tempo di attesa possono essere misurati. Alcuni pazienti potrebbero avere bisogno di trattamenti specialistici che richiedono tempi di attesa più lunghi. Inoltre, il contesto di alta pressione in cui operano i reparti di pronto soccorso, accentuato dall’emergenza Covid, ha reso ancora più complicata la gestione dei pazienti.
Nonostante i numeri rappresentino un campanello d’allarme, il contesto di emergenza sanitaria in cui si collocano le ricerche deve essere considerato quando si analizzano i risultati. Con la frequenza dei casi che, per molti aspetti, è tornata ai livelli pre-pandemia nel 2021, la situazione necessita di attenzione continua da parte delle autorità sanitarie e dei responsabili politici per garantire la sicurezza e il benessere dei pazienti.