La recente condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, accusato dell’omicidio di due giovani donne, riaccende il dibattito sulla giustizia per le vittime di femminicidio in Italia. La sentenza ha suscitato forti emozioni nelle famiglie delle vittime, che esprimono la loro sofferenza e la necessità di un sistema giuridico che tuteli le donne e penalizzi severamente i colpevoli. In questa triste vicenda, le voci delle madri delle vittime emergono con forza, testimoniando il dolore e l’assenza lasciati da un delitto inammissibile.
Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro, brutalmente uccisa all’età di 18 anni e trovata smembrata in valigie, ha commentato la sentenza con parole cariche di emozione. “Chi ha ucciso Giulia, Pamela e le nostre figlie merita il carcere a vita”, ha dichiarato all’Adnkronos, sottolineando come l’ergastolo rappresenti per i colpevoli l’equivalente di una vita di sofferenza, simile a quella che hanno inflitto ai genitori delle vittime. Il suo pensiero va anche alla famiglia di Giulia, una delle altre giovani donne presunte vittime di Turetta. Verni incoraggia i familiari a non perdere mai la speranza e la determinazione nella loro ricerca di giustizia, evidenziando la necessità di combattere per il riconoscimento dei diritti delle vittime.
Le parole di Alessandra pongono l’accento sull’importanza di un processo che, seppur porti a una condanna, non può restituire nulla alle famiglie; solo una ferita aperta e un dolore incolmabile. La giustizia, infatti, può quanto meno garantire che simili atrocità non rimangano impunite, cosa che spinge le madri a continuare la loro battaglia.
Barbara Mariottini, madre di Desirée, una ragazza di 16 anni trovata morta dopo una violenta aggressione, ha espresso il suo pensiero riguardo alla condanna di Turetta, evidenziando che la sentenza rappresenta un capitolo chiuso ma non solleva le famiglie dal loro dolore. “Certo, alla famiglia non restituisce nulla, solo tanto dolore”, ha affermato, suggerendo che la giustizia da sola non può colmare il vuoto lasciato dalla perdita di una figlia.
Le esperienze di queste madri testimoniano che la giustizia è una strada impervia e spesso deludente, dove la ricerca di una pena adeguata non è sempre soddisfacente. Mariottini ha anche fatto notare come in altri casi, come l’omicidio di sua figlia, le pene sembrino risultare inadeguate rispetto alla gravità del crimine.
Gianluca Causo, padre di Michelle, ha sottolineato una grave anomalia nel sistema giuridico: l’assassino della sua figlia, pur avendo commesso un crimine terribile, ha ricevuto una pena di soli 20 anni di carcere a causa della sua minore età al momento del delitto. “È giusto l’ergastolo per Filippo Turetta”, ha spiegato Causo, evidenziando come le leggi attuali possano incorrere in ingiustizie rispetto all’età del colpevole, trascurando il dolore inflitto alle famiglie delle vittime.
Causo ha anche rimarcato la mancanza di attenzione da parte della giustizia per le aggravanti legate allo stalking e alla crudeltà, in un contesto in cui la violenza sulle donne dovrebbe essere perseguita con maggior severità. “Che cosa avrebbe dovuto fare Turetta per far riconoscere la crudeltà del suo gesto?”, ha chiesto, evidenziando l’assurdità di una legge che sembra non considerare adeguatamente la sofferenza inflitta alle vittime.
Le storie di queste famiglie e le loro richieste di giustizia pongono interrogativi fondamentali sulla capacità del sistema giuridico di affrontare con rigore temi così delicati come il femminicidio e la violenza di genere. La loro lotta rappresenta non solo una ricerca di verità nel caso specifico, ma un appello collettivo per un cambiamento strutturale all’interno di una giustizia che possa tutelare le donne e le loro vite.