Esplosione a Ercolano: tragedia in una fabbrica clandestina di fuochi d’artificio

La terribile esplosione avvenuta a Ercolano, in una fabbrica clandestina di fuochi d’artificio, ha scosso la comunità e sollevato interrogativi seri sulla sicurezza e sulle condizioni di lavoro all’interno di strutture operative illegali. La morte di tre giovani lavoratori ha portato alla luce un panorama inquietante, fatto di sfruttamento e violazioni delle normative di sicurezza. Le indagini stanno rivelando dettagli allarmanti su come si sviluppava l’attività nell’impianto e sulle responsabilità di chi era al comando.

La dinamica dell’esplosione: materiali letali e condizioni di lavoro

Secondo la relazione redatta dal nucleo artificieri dei Carabinieri, l’esplosione ha avuto origine da un ingente quantitativo di esplosivo, stimato tra i 5 e 10 chili, composto da cilindri muniti di tappo. Questo materiale pericoloso era affiancato da un accumulo di circa 300 chili di perclorato di potassio e ulteriori 50 chili di sostanze esplosive in polvere. I contenuti pericolosi trovati all’interno della fabbrica erano del tipo «esplosivo non convenzionale e non riconosciuto», il cui uso è vietato dalla legge in qualsiasi contesto. Se vi fosse stata un’esplosione totale del materiale accumulato, i danni avrebbero potuto estendersi a un intero isolato, mettendo in grave pericolo le vite di molte persone.

Le condizioni di lavoro nella fabbrica, gestita da Pasquale Punzo, hanno rivelato un quadro allarmante. Samuel Tafciu, 250 euro a settimana, si occupava del lavoro più pericoloso e, stando alle indagini, era proprio nel punto dove si trovava lui che è avvenuta la detonazione. Aurora e Sara Esposito, le sue colleghe, guadagnavano entrambe 150 euro alla settimana. Nessuno dei tre aveva la competenza necessaria per maneggiare materiali esplosivi, eppure, a causa della loro situazione economica, erano costretti a lavorare in un ambiente altamente rischioso e totalmente non regolamentato.

Lo sfruttamento del lavoro nero e l’identificazione del proprietario

Le indagini hanno messo in luce come le tre giovani vittime fossero impiegate in un impianto di produzione illegale di fuochi d’artificio, dove il lavoro veniva svolto in nero. Le pratiche di sfruttamento erano diffuse, con i lavoratori giovani costretti ad affrontare rischi mortali pur di guadagnare un reddito per affrontare le difficoltà economiche quotidiane. Nonostante la fabbrica fosse formalmente inattiva e non autorizzata, la produzione di «botti» fuorilegge proseguiva tranquillamente, grazie anche alla complicità di chi gestiva l’operazione.

Pasquale Punzo, il proprietario di fatto della fabbrica, è stato arrestato dagli inquirenti e si sospetta che fosse lui a prelevare le vittime dal loro domicilio per portarli a lavoro il giorno dell’incidente mortale. Dalle indagini è emerso che l’ultima corsa di Tafciu, Esposito e Esposito a Ercolano coincideva con il giorno in cui è avvenuta l’esplosione. Una telecamera ha ripreso il furgone di Punzo, confermando la sua presenza sul luogo della tragedia.

Un tragico racconto di vita e lavoro

Le testimonianze raccolte dalle famiglie delle vittime raccontano un quotidiano fatto di sacrifici e difficoltà. La sorella delle ragazze decedute ha dichiarato che le sorelle lavoravano da diversi mesi nella fabbrica di fuochi d’artificio e avevano già un’esperienza precedente nel confezionamento di prodotti simili. La madre delle ragazze, prima dell’incidente, aveva anche lavorato a Marigliano in condizioni simili, dimostrando un quadro familiare abituato a confrontarsi con quest’attività pericolosa.

La compagna di Samuel Tafciu ha rilasciato dichiarazioni toccanti, spiegando come il giovane avesse omesso di rivelare la verità sulla pericolosità del suo lavoro. La loro figlia di soli cinque mesi è destinata a crescere senza un padre, mentre tornano alla luce i problemi connessi al lavoro non regolamentato. Nessuno, incluso Punzo, aveva avvertito Samuel dei rischi reali legati a questa attività. La famiglia e gli amici ora devono affrontare non solo il lutto per la perdita dei loro cari, ma anche l’ombra inquietante di un sistema lavorativo che ha fatto pagare un prezzo troppo alto.

La grave vicenda di Ercolano evidenzia l’urgenza di affrontare il tema del lavoro nero, delle condizioni di sicurezza nelle fabbriche e delle responsabilità penali di chi gestisce attività pericolose senza alcun rispetto per la vita umana.

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Filippo Grimaldi