La bozza della manovra finanziaria per il 2025 rivela l’intento del governo di ampliare significativamente l’applicazione della “web tax”. Questa tassa, originariamente concepita per colpire esclusivamente i grandi colossi del web che operano nel mercato italiano ma pagano le proprie imposte all’estero, si trasformerà in un’imposizione del 3% sul fatturato per tutte le attività legate al digitale. Tale decisione desterà sicuramente preoccupazione all’interno del panorama delle imprese digitali, come evidenziato da diversi esperti del settore.
Il sistema attuale di tassazione delle imprese digitali in Italia ha sempre trovato un certo equilibrio, colpendo un ristretto gruppo di grandi aziende internazionali. Con l’estensione dell’imposta a una vasta gamma di soggetti che operano nel digitale, si prefigura un cambiamento radicale nelle regole del gioco. L’eliminazione dei tetti minimi per l’applicazione della tassa significherà che anche le piccole e medie imprese, comprese le start-up, saranno soggette a quest’imposizione.
Secondo le stime governative, l’ampliamento della platea dei contribuenti potrebbe generare introiti annui aggiuntivi di circa 51,6 milioni di euro. Tuttavia, si tratta di una cifra che appare esigua rispetto all’intero bilancio dello Stato, soprattutto considerando le pesanti ricadute economiche che potrebbero interessare le imprese attive nei servizi digitali. Infatti, l’applicazione indiscriminata della nuova tassa potrebbe fungere da freno agli investimenti, portando molte aziende a riconsiderare le proprie strategie commerciali e le spese di sviluppo.
Questa riforma fiscale comporta, inoltre, una riflessione sulla sostenibilità economica delle imprese, in un mercato che già presenta sfide significative. L’adozione della web tax rischia di tradursi in un forte impatto negativo sui conti delle aziende, limitando la loro capacità di crescere e di contribuire al mercato del lavoro.
Un aspetto di particolare rilevo riguarda le conseguenze occupazionali che potrebbero derivare dall’applicazione della nuova web tax. Nel settore dei servizi digitali, dove si registra già un alto tasso di precariato, le aziende si troveranno costrette a rivedere le loro proiezioni e a prendere decisioni difficili riguardo al personale. Questo potrebbe comportare un rallentamento della loro attività, una contrazione delle assunzioni e, in casi estremi, anche licenziamenti.
In ambito giornalistico, la questione è ulteriormente complessa. I professionisti del settore, che negli ultimi anni hanno già combattuto per ottenere riconoscimenti e migliori condizioni lavorative, potrebbero subire effetti deleteri da questa nuova tassa. L’assenza di una protezione adeguata in un contesto normativo in evoluzione mette a rischio non solo la stabilità delle singole professioni, ma anche la qualità e la pluralità dell’informazione. Un’inflazione dei costi potrebbe, infatti, ridurre le opportunità di lavoro per i giornalisti, in un ecosistema in cui la loro funzione è cruciale per il mantenimento di un’informazione libera e diversificata.
Il Comitato di Redazione di Citynews, che rappresenta oltre 300 professionisti del settore, ha espresso la propria preoccupazione riguardo agli effetti della nuova “web tax”. In una lettera aperta, il Cdr ha evidenziato come il settore non stia vivendo un periodo florido e come, anzi, vi sia la necessità di maggiore attenzione da parte dell’amministrazione pubblica. La richiesta è chiara: il governo deve riconsiderare i termini dell’applicazione della tassa per evitare esiti dannosi per le aziende e i professionisti del settore.
Il gruppo di giornalisti sottolinea l’importanza di un settore dell’informazione robusto e sostenuto, capace di garantire un’informazione di qualità. Richiedono, quindi, a tutti i gruppi parlamentari di avviare un dibattito in merito, volto a proteggere l’informazione digitale e a preservare le libertà professionali di chi opera nel panorama dell’informazione, così come l’integrità dell’ecosistema mediatico del Paese.
L’auspicio è che le istituzioni prendano in considerazione i reali impatti economici e sociali della nuova normativa, favorendo un dialogo costruttivo per garantire un ambiente lavorativo equo e sostenibile per tutti.