Un’intervista esclusiva a Tommaso Bianchini, Chief Revenue Officer della SSC Napoli, svela non solo la carriera straordinaria di suo padre, Valerio Bianchini, icona della pallacanestro italiana, ma anche la profondità dei legami familiari che hanno influenzato la sua vita. Valerio è famoso per essere il primo allenatore in Italia a conquistare tre scudetti con tre squadre diverse, lasciando un’impronta indelebile nel mondo dello sport.
La carriera di Valerio Bianchini
La figura di Valerio Bianchini si staglia imponente nel panorama del basket italiano. Con un palmares che parla chiaro, il suo nome è associato a successi che hanno segnato un’epoca. È il primo coach della storia a guidare tre squadre diverse nella conquista dello scudetto: Cantù, Roma e Pesaro. Ogni trionfo ha contribuito a costruire non solo la sua carriera, ma anche un mito che ha ispirato generazioni di giovani cestisti. Tra i suoi trofei, spiccano una Coppa delle Coppe con Cantù nella stagione 1980-81, due Coppe dei Campioni, una con Cantù nel 1981-82 e l’altra con Virtus Roma nel 1983-84, oltre a una preziosa Coppa Intercontinentale conquistata sempre con la Virtus Roma nel 1984.
Valerio ha lasciato un’eredità che va oltre le statistiche e i trofei. Ha saputo trasmettere valori come la determinazione e la passione per lo sport, influenzando non solo i suoi giocatori, ma anche i membri della sua famiglia. La dedizione di Valerio alla pallacanestro ha comportato sacrifici, creando un ambiente familiare unico, nel quale l’amore per lo sport si intreccia con le relazioni personali.
La figura di Tommaso Bianchini e il suo legame con il padre
Tommaso Bianchini, oggi Chief Revenue Officer della SSC Napoli, condivide un legame complesso e significativo con suo padre. La sua infanzia è contrassegnata dalla presenza di un genitore spesso assente per motivi professionali. In un passaggio dell’intervista, Tommaso rivela che da bambino provava un amore più grande per la madre, che era sempre presente, mentre il padre era spesso lontano, immerso nel lavoro. Questa dinamica ha sicuramente plasmato la sua percezione della figura paterna.
Quando si parla di infanzia, Tommaso non esita a raccontare aneddoti che evidenziano l’impatto di questo rapporto. Ricorda che Valerio, quando era a casa, passava gran parte del tempo nel suo studio a guardare video di basket americano, un comportamento che faceva sentire Tommaso un po’ trascurato. Questa assenza ha portato il giovane a formare una visione del padre non solo come un allenatore di successo, ma anche come una figura distante, evidenziando il contrasto tra la grandezza professionale e la quotidianità familiare.
Tradizione familiare e scelte significative
La scelta del nome Ginevra per la figlia di Tommaso non è casuale e per lui porta con sé un significato profondo. La storia raccontata nell’intervista lascia trasparire un richiamo alla tradizione familiare. Valerio aveva ricevuto l’idea di chiamare la figlia Ginevra, suggerita da amici al suo ritorno dalla finale di Coppa dei Campioni. Tuttavia, in quella circostanza, declinò l’idea, una decisione che potrebbe essere interpretata come un segno della sua euforia controllata.
Successivamente, è stato Tommaso a voler perpetuare quel nome nella famiglia, dimostrando come i legami e le tradizioni possano influenzare le scelte generazionali. Aggiungendo alla storia familiare, ha precedentemente dato il nome Carlo a suo figlio, in onore dello scudetto conquistato dal Napoli nel 2023. Questa decisione rappresenta un legame tra la sua passione per il calcio, la storia della sua famiglia e l’eredità sportiva che continua a vivere attraverso di lui.
Nel cuore del racconto, emerge chiaramente l’impatto che i successi del padre hanno avuto sulla vita di Tommaso, mettendo in luce come il patrimonio sportivo possa trascendere i limiti del campo, arrivando a definire l’identità di una famiglia intera.