L’intensa programmazione delle competizioni calcistiche sta sollevando preoccupazioni crescenti nel mondo del calcio. Umberto Calcagno, presidente dell’Assocalciatori , ha commentato le dichiarazioni di importanti calciatori come Koundè e Rodri riguardo al sovraccarico di partite. Queste preoccupazioni non solo mettono in evidenza il malessere degli atleti, ma sollevano anche interrogativi importanti sul futuro del calcio professionistico.
Negli ultimi anni, il mondo del calcio è stato caratterizzato da un aumento esponenziale del numero di competizioni e, di conseguenza, da un carico di partite sempre più pesante per i calciatori. In tale contesto, le parole di Koundè e Rodri, insieme a quelle di altri atleti di alto profilo come Mbappé, Bellingham, Carvajal, Allison e van Dijk, risuonano come un grido d’allarme. I due calciatori hanno sollevato l’idea di uno sciopero come un estremo mezzo di pressione per ottenere un cambiamento.
Koundè e Rodri indicano che una programmazione eccessiva potrebbe non solo compromettere la qualità delle prestazioni, ma anche mettere in pericolo la salute fisica degli atleti. Infatti, è noto che, con il numero crescente di gare, il rischio di infortuni aumenta, creando una relazione diretta tra intensità delle competizioni e benessere fisico dei professionisti. Gli atleti, percependo il peso di questo carico, si uniscono in un coro di proteste che mette in discussione la sostenibilità di tale modello, richiamando l’attenzione sul bisogno di elaborare soluzioni più equilibrate.
Umberto Calcagno ha accolto le preoccupazioni espresse dai calciatori, definendo la questione come un “grido di allarme” che richiede una risposta immediata. Egli evidenzia come i club stiano affrontando enormi difficoltà nella gestione degli impegni dei propri tesserati, sottolineando che non si tratta solo di un problema individuale, ma di una questione che permea tutto il sistema calcistico. Sia i calciatori che le società si trovano a fare i conti con il crescente numero di gare, con un impatto significativo non solo sul benessere fisico, ma anche sulla salute complessiva del calcio.
Calcagno fa notare che la salute dei calciatori deve essere una priorità per l’intero ecosistema del calcio, poiché una riduzione nel benessere fisico dei giocatori potrebbe influire negativamente sul valore sportivo delle competizioni e sull’attrattività del torneo per i tifosi. Inoltre, il presidente dell’Assocalciatori richiama l’attenzione su come il modo attuale di gestire le risorse non favorisca equamente nemmeno i club meno forti, sottolineando l’assoluta necessità di una rivalutazione delle strategie economiche.
Calcagno ha evidenziato il conflitto con la FIFA, l’ente regolatore, come parte di una lotta più grande per i diritti dei calciatori e la sostenibilità del calcio. Il sindacato mondiale dei calciatori, FIFPro, sta lavorando per garantire che le decisioni relative alla struttura delle competizioni non siano dominate solo da logiche di profitto. La creazione di nuove competizioni, sebbene possa sembrare vantaggiosa, rischia di generare un prodotto di bassa qualità, in grado di dissuadere i tifosi, i cui eroi non possono più garantire le prestazioni attese dopo una stagione eccessivamente implacabile.
Per Calcagno, è fondamentale ripensare il modello organizzativo del calcio, ponendo in primo piano il benessere degli atleti. Un calciatore che gioca oltre 60 partite all’anno, incluse le recenti competizioni del Mondiale per club, sta operando a un ritmo insostenibile, il che può portare a risultati deludenti sia sul campo che nel coinvolgimento del pubblico.
Calcagno conclude evidenziando che la riflessione su quale futuro si desideri per il calcio deve essere una priorità. Si tratta di un’opportunità unica per ristrutturare il sistema calcistico, mirando a una maggiore equità nella distribuzione delle risorse e fondamenta più solide per il benessere degli atleti. Il dibattito sul valore del calcio e sull’equilibrio tra profitto e passione è più attuale che mai. Se il calcio continuerà a concentrarsi solo sulle competizioni europee, il rischio è che il gap tra i club di grandi e piccole dimensioni si amplifichi, minando così l’essenza stessa dello sport che il pubblico ama. La situazione attuale rappresenta un bivio per il futuro del calcio professionistico.