Ilaria Cucchi afferma con fermezza la sua posizione riguardo agli abusi di potere nelle forze dell’ordine, scrivendo al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Salvatore Luongo. La lettera, inviata dopo la morte di Ramy El Gami a Milano, solleva interrogativi sulla credibilità e sull’integrità dell’istituzione. In un contesto di tensione sociale e crescente richiesta di giustizia dopo casi drammatici, le parole di Cucchi assumono un significato profondo nel panorama dei diritti civili.
La lettera di Ilaria Cucchi
Nella missiva, Ilaria si presenta come una cittadina profondamente colpita dalla violenza e dall’ingiustizia. La sua esperienza personale, legata alla morte del fratello Stefano nel 2009, ha segnato fortemente la sua vita. Cucchi condivide con Luongo i dettagli e le ripercussioni del pestaggio subito da Stefano, ridotto in fin di vita da un intervento delle forze dell’ordine. A tal riguardo, sottolinea che i colpevoli sono stati condannati, ma i silenzi e i depistaggi hanno avvelenato la ricerca della verità.
“Caro Generale”, scrive Ilaria, “la Giustizia è degli uomini e gli uomini cambiano”. Con questa frase, mette in luce la sfiducia nelle istituzioni, che ora sembra investire anche i più alti gradi dell’Arma. Cucchi parla di incredulità di fronte al fatto che dopo le condanne per depistaggi, alcuni alti ufficiali potrebbero ottenere l’assoluzione, e ciò suscita domande sul vero percorso della giustizia.
Il caso di Ramy El Gami
La lettera prosegue con un richiamo concreto alla sofferenza della famiglia di Ramy El Gami, il giovane di 19 anni morto in un incidente a Milano. Ilaria descrive le immagini raccapriccianti della vicenda, risultati di una corsa che ha portato alla morte. Sebbene riconosca che spetta alla Magistratura decidere, sottolinea la profonda emozione provata nel rivedere gli eventi drammatici e chiede chiarezza.
Aiutare a ricostruire la verità è il suo obiettivo principale. Chiede la sospensione e persino la destituzione dei carabinieri coinvolti, poiché le loro relazioni sull’incidente sembrano discostarsi dalla verità documentata dai video. Questa richiesta non è solo un atto di giustizia formale, bensì un tentativo di ripristinare la fiducia nel servizio di polizia.
La lotta contro l’impunità
Ilaria Cucchi porta alla luce una questione urgentissima: il rispetto dell’onore e della dignità delle divise indossate dai carabinieri. La sua richiesta non implica una condanna gratuita, ma piuttosto, desidera sottolineare che chiunque falsifichi i fatti deve affrontare conseguenze. “Coloro che hanno ricostruito i fatti in modo errato”, dice, “non meritano di indossare la vostra onoratissima divisa”.
Cucchi si offre persino di incontrare Luongo per condividere il suo vissuto e discutere dell’effetto devastante che tali comportamenti hanno sulla credibilità dell’istituto. A tal fine, mette in luce le cicatrici emotive che la sua famiglia porta ancora oggi, preparando il terreno per un dialogo aperto e onesto attraverso il racconto del dolore e della ricerca della verità.
Riflessioni sul futuro delle forze dell’ordine
Ilaria Cucchi conclude la lettera esprimendo il suo amore per le forze dell’ordine, sottolineando che, mentre alcuni dettagli scoraggiano, la maggior parte dei carabinieri lavora in modo onesto. Invita Luongo a proteggere coloro che operano nel rispetto della legge e della verità, affinché tutti possano continuare a vedere nelle forze dell’ordine non solo un simbolo di autorità, ma anche di giustizia e sacrificio per il bene comune.
La lettera di Ilaria Cucchi rappresenta un’eco di un grido collettivo per il cambiamento. Si tratta di un appello a garantire che la giustizia sia onorata e che ogni cittadino possa confidare nel lavoro delle forze dell’ordine, senza timori né ombre che possano compromettere l’onore del servizio.