L’Argentina è un paese con una straordinaria tradizione calcistica, influenzata da generazioni di talenti che hanno lasciato un segno indelebile. Mario Kempes, una delle icone di questo sport, ricorda con nostalgia e riflessione le sue esperienze calcistiche, mettendo in luce il percorso della Nazionale e l’eredità di giocatori leggendari come Diego Maradona e Lionel Messi. La sua carriera e le sue osservazioni offrono uno spaccato di un’epoca in cui il calcio era un linguaggio universale, capace di unire il popolo argentino.
Negli anni che hanno preceduto l’era dei computer e dei videogiochi, il calcio in Argentina si giocava per strada, con mezzi rudimentali. Non c’era accesso a partite in televisione, ma solo la radio, che trasmetteva con passione le partite. Kempes ricorda come, in mancanza di riferimenti diretti, la fantasia e la passione per il gioco alimentavano i sogni di ragazzi che si ritrovavano a calciare palloni improvvisati, realizzati con strofinacci o pezzi di legno.
“Eravamo dei sognatori,” riflette Kempes, ribadendo come fosse difficile avere dei veri idoli da seguire. L’assenza di modelli immediati ha però fornito ai calciatori argentini la licenza di creare i loro percorsi unici. La connessione emotiva con il calcio era palpabile: ogni partita era l’occasione per provare, sperimentare e godere del gioco. La mancanza di risorse non ha mai ostacolato la passione: al contrario, ha alimentato un desiderio innato di eccellere.
Kempes ha vissuto momenti cruciali con la Nazionale, tra cui la storica vittoria nel Mondiale del 1978. Questo evento non rappresentava solo una competizione sportiva, ma un’opportunità per il popolo argentino di risollevarsi in un momento complesso della sua storia politica. L’euforia della vittoria ha dato vita a una connessione unica tra la squadra e la nazione, che ha visto nel football una forma di libertà e speranza.
L’allenatore Menotti giocò un ruolo cruciale nel preparare la squadra, lanciandosi in un processo di costruzione non solo tecnica, ma anche emotiva. Kempes descrive Menotti come un leader carismatico, capace di infondere fiducia e determinazione nei suoi giocatori. La Nazionale, priva di esperienze precedenti a livello mondiale, si affacciava sul palcoscenico con una grande voglia di riscatto e, nonostante le difficoltà, la squadra riuscì a esprimere il proprio gioco.
Il ricordo della finale è vivo: il calore dei tifosi e il senso di appartenenza hanno creato un’atmosfera magica. “Quando siamo arrivati al campo, abbiamo visto le persone felici; eravamo diventati amici,” racconta Kempes, evidenziando l’importanza dell’unità.
Il Mondiale del 1982 in Spagna ha portato nuove sfide per l’Argentina. Kempes ricorda il drammatico passaggio del primo turno e l’arrivo di avversari formidabili come Brasile e Italia. Nonostante il talento individuale, la Nazionale non era mentalmente preparata per affrontare le pressioni della competizione. Quella edizione si rivelò un’esperienza difficile, soprattutto in confronto al trionfo del 1978.
Kempes sottolinea che diversi fattori hanno influito sul rendimento della squadra, tra cui un ambiente diverso e la presenza della famiglia vicino a loro. Tuttavia, la concentrazione e la preparazione psicologica non erano comparabili a quelli dell’anno precedente. “Io stesso non ero concentrato come dovevo essere,” confessa l’ex attaccante, ponendo l’accento sull’importanza di mantenere un focus costante durante le competizioni internazionali.
La figura di Diego Maradona emerge come un capitolo fondamentale nella narrativa calcistica argentina. Kempes lo descrive come un genio, sottolineando l’unicità e il talento innato. “In totale abbiamo avuto due geni, uno dei quali gioca ancora adesso,” afferma, riferendosi a Lionel Messi. Questi due giocatori rappresentano l’apice del talento calcistico argentino, ognuno con un’impronta indimenticabile sulla storia del calcio.
Il numero 10 in Argentina è diventato un simbolo di grandezza e talento, accostato a nomi illustri come Kempes, Maradona e Messi. Kempes racconta come il suo approccio al numero sia nato casualmente, ma sottolinea il peso che questo porta con sé. Non è solo un numero, ma un’identità, un’eredità da onorare.
Nel corso degli anni, la tentazione di rimuovere questo numero è emersa, ma il suo significato rimane radicato nella cultura calcistica argentina. “Quando prendi la 10 è come se fossi sotto incantesimo,” dice Kempes, esprimendo la magia che questo numero rappresenta per chi indossa la maglia. Attraverso il tempo, il numero ha accumulato significati profondi e diversificati, diventando un simbolo di eccellenza e passione per il calcio.
Queste riflessioni di Kempes offrono uno sguardo prezioso sull’evoluzione del calcio argentino, rivelando non solo l’importanza del talento individuale ma anche il potere collettivo di una nazione che trova nella sua storia e nella sua cultura calcistica un motivo di orgoglio e unità.