Il nuovo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, ha suscitato un acceso dibattito sulla rappresentazione storica e culturale di Napoli negli anni Settanta. L’opera, pur evocando un periodo cruciale della città , è stata etichettata da critici come Goffredo Fofi come “superficiale” e “antropologicamente vuota”. Nel contesto del film, emergono questioni relative alla mancanza di riferimenti a fenomeni sociali significativi, come la contestazione studentesca e i movimenti femministi, che hanno caratterizzato quegli anni. Analizziamo quindi le criticità sollevate da Fofi e il confronto con la rappresentazione artistica di quel periodo.
La visione critica di Goffredo Fofi
Goffredo Fofi, noto critico e intellettuale, ha esaminato Parthenope con occhio attento, evidenziando come il film ignori un contesto storico ricco e complesso. Secondo lui, Sorrentino descrive gli anni Settanta a Napoli come un’epoca di “vuoto pneumatico”, dimenticando i fermenti culturali e sociali che animavano la città . Fofi sottolinea che, accanto alla musica e all’arte fiorente, Napoli viveva momenti di grande tumulto politico e sociale, dai movimenti giovanili all’emergente femminismo. La narrazione del film, then, viene vista come una rappresentazione distorta, che non rende giustizia alla vitalità e alla lotta che caratterizzavano quel periodo.
L’intellettuale fa riferimento a figure di spicco come i lavoratori di Pomigliano d’Arco e Bagnoli, sottolineando l’importanza del loro impegno e della loro lotta per il riconoscimento sociale ed economico. Fofi, che ha vissuto in prima persona quegli eventi, critica non solo la superficialità di Sorrentino, ma anche un certo atteggiamento da “figli di papà ” presente nella pellicola. Questo approccio limita la comprensione della storia e della cultura napoletana, riducendo a cliché una realtà poliedrica e articolata.
La figura del “chiattillo” e la cultura napoletana
La critica di Fofi include anche una virulenta denuncia della figura del “chiattillo”, termine colloquiale usato a Napoli per descrivere i giovani della piccola borghesia, spesso dissociati dalla realtà sociale. Questi personaggi, che popolano il film, rappresentano una classe privilegiata e distante dalla lotta dei meno fortunati. Fofi sostiene che, mentre questi “chiattilli” di Sorrentino sono mostrati come tormentati e coco estetizzanti, esisteva a Napoli un’altra generazione che, pur provenendo dalla stessa classe sociale, era coinvolta nei movimenti di rinnovamento sociale.
Questo gruppo, pur non essendo politicamente schierato a sinistra, ha contribuito a un risveglio culturale, molto evidenziato in opere come quella di Mario Martone dedicata a Massimo Troisi. La visione del mondo di questi giovani, che si incontravano a contemplare la bellezza e a vivere esperienze profonde, contrasta nettamente con il ritratto poco empatico e distaccato dei “chiattilli” di Sorrentino. La capacità di ballare tra l’estetica della vita quotidiana e la lotta sociale rappresenta una dimensione fondamentale della cultura napoletana che Parthenope sembra ignorare.
Gli anni Settanta a Napoli: fermento culturale e politico
Gli anni Settanta sono stati un periodo di profondi cambiamenti per Napoli, dove la città si è trasformata attraverso movimenti e manifestazioni. Da segnalare, ad esempio, il primo Festival nazionale dell’Unità , dove Enrico Berlinguer, dirigente del Partito Comunista Italiano, ha riunito una folla straordinaria, simbolo dello spirito di cambiamento che permeava l’epoca. Allo stesso modo, il terremoto del 1980 ha segnato una svolta drammatica, ma ha anche rivelato la resilienza e la capacità di mobilitazione dei napoletani, portando alla luce problematiche strutturali che necessitavano di attenzione.
La fotografia di quel periodo è ben rappresentata nei documentari e nei materiali d’archivio dei telegiornali dell’epoca, che offrono uno sguardo autentico sui movimenti sociali, dalle contestazioni studentesche alle lotte per i diritti dei disoccupati. Queste immagini, collegate a eventi politici e sociali significativi, non solo arricchiscono la memoria collettiva, ma obbligano a riflettere su quanto Napoli fosse in fermento, a differenza della visione apatica proposta da Sorrentino.
Un’assenza di contestualizzazione nel film
In definitiva, Parthenope si presenta come un lavoro che, pur avendo i suoi meriti stilistici, potrebbe non rappresentare efficacemente il contesto storico e sociale degli anni Settanta a Napoli. La mancanza di riferimenti adeguati a eventi e movimenti cruciali limita la capacità del film di offrire una rappresentazione completa e sfumata di un’epoca. Mentre Fofi e altri critici pongono in evidenza queste lacune, resta da considerare come le produzioni artistiche siano responsabili della narrazione storica, e quali implicazioni ciò abbia sulla comprensione della cultura napoletana contemporanea.
Un dibattito che, come ha sottolineato l’assessore regionale alla Protezione civile del Veneto, Giampaolo Bottacin, può estendersi anche a questioni di governance e autonomia locale, rivelando come ogni narrazione, storica o culturale, sia intrinsecamente connessa a dinamiche di potere e responsabilità sociale.