La situazione a Napoli è diventata sempre più preoccupante a causa dell’aumento della violenza giovanile alimentata dalle organizzazioni criminali. Oggi i ragazzi sono coinvolti in una spirale di violenza che ricorda altri contesti internazionali, come Città del Messico e Miami. I giovani, spesso a partire dall’età di 12 anni, si inseriscono in bande armate conosciute come “paranze”, generando un circolo vizioso di morte e illegalità. La denuncia dello scrittore Roberto Saviano, pubblicata sui social, offre una chiara visualizzazione di questo fenomeno allarmante.
Le paranze sono gruppi di giovanissimi a Napoli che operano in un contesto criminale ampio e articolato. Questi ragazzi, spinti da una ricerca di identità e rispetto, scelgono vie pericolose per affrontare la vita quotidiana in un ambiente spesso ostile. L’omicidio di Emanuele Tufano, un ragazzino di soli 12 anni, rappresenta un caso emblematico che ha scosso l’opinione pubblica. La mancanza di certezze e di opportunità coinvolge questi giovani, portandoli a entrare a far parte di questi gruppi dove la violenza diventa un linguaggio comune.
Saviano sottolinea che l’adesione alle paranze non è il prodotto di una follia irrazionale o di una vita indotta dalla droga. Al contrario, questi ragazzi sono spesso resi consapevoli delle loro azioni e dei loro ruoli all’interno di un contesto che li condanna all’inevitabile. Il linguaggio di rispetto, onore e paura si intreccia in una gioventù che lotta per trovare un posto nella società. Ecco che gli atti di violenza appaiono come un’opzione alla cui base non c’è solo la disperazione, ma una sorta di strategia di sopravvivenza.
Non è solo la ricerca di soldi a spingere i giovani verso la criminalità, ma anche il desiderio di riconoscimento e carisma. In una società dove i contratti di lavoro sono difficilmente accessibili e il futuro sembra incerto, i ragazzi si trovano a fronteggiare alternative che spesso si traducono nella scelta della violenza. Saviano evidenzia come, per molti di loro, la pistola diventa un simbolo di potere e di controllo, capace di garantire quella forma di rispetto che troppo spesso manca.
Chi cresce in contesti di miseria e abbandono non ha altre opportunità; l’illusione di una vita migliore è rappresentata da modelli di comportamento che glorificano la violenza e l’illegalità. I social media e le esperienze di vita quotidiana plasmano la loro percezione della realtà, offrendo modelli che enfatizzano il rischio e la brutalità come strumenti per ottenere ciò che desiderano. La conseguenza è una gerarchia di valori distorta, dove l’onore si guadagna nel modo più violento possibile.
Saviano non risparmia critiche alle istituzioni italiane, evidenziando un’assenza di risposta adeguata da parte del governo locale, regionale e nazionale. L’autore sostiene che l’amministrazione potrebbe limitarsi a un’azione repressiva, invocando arresti e misure di sicurezza senza considerare le reali cause del fenomeno. La narrativa di deterrenza, unita a una gestione della crisi che appare sulla carta ma poco nel concreto, non basta a risolvere una situazione così complessa.
Il rischio è di assistere a una progressione della violenza che, come già osservato in altre città del mondo, non accenna a fermarsi o a diminuire. La vittoria della pura repressione sarà solo temporanea, perché il problema alla radice rimane irrisolto. Le politiche devono andare oltre le misure punitive, investendo su educazione, opportunità lavorative e una reale integrazione sociale per i giovani.
La riflessione di Saviano si chiude su un tono di amarezza, lasciando intendere che senza un cambiamento profondo nel modo di affrontare il problema, la spirale di violenza e morte continuerà a inghiottire giovani vite.