Il racconto di un nonno è spesso un viaggio nel tempo, un modo per riscoprire una parte della nostra storia personale e collettiva. Nel cuore di Salerno, tra il mare e la ferrovia, si erge la figura di Angelo Postiglione, un patriarca che ha vissuto eventi straordinari. La sua storia, una di quelle che sembrano uscite da un romanzo, è un tesoro di memoria famigliare e racconti di guerra. A distanza di cinquant’anni, i suoi nipoti continuano a raccogliersi attorno a lui per ascoltare storie che affondano le radici nel passato, rivelando la forza dei legami familiari e l’implacabile scorrere del tempo.
Il salone di casa nella domenica di Salerno si trasforma in un luogo di incontro per i piccoli nipoti, invitati a partecipare a ciò che Angelo chiama «’o cunto». Un rituale che riempie il cuore di gioia e nostalgia, evocando sensazioni di un’infanzia spensierata e intensa. Le parole del nonno, cariche di significato, trasmettono il peso della sua esperienza e il calore di una famiglia unita. La domenica, in quest’atmosfera sacrale, si celebra la vita, la fede, i legami che attraversano generazioni.
Seduti a terra, i bambini ascoltano attentamente. Il nonno, che è il punto di riferimento di una famiglia di nove figli, quattro femmine e cinque maschi, racconta con la calma di chi ha vissuto situazioni estreme. Descrive un’epoca difficile, con ricordi che si intrecciano come le dita di una mano. È un momento di silenzio e di attenzione, e in questo tempo sospeso, si percepisce la gravità dei ricordi che affiorano.
La vita quotidiana, il lavoro, le tradizioni all’insegna della semplicità e della condivisione sono elementi fondamentali che il nonno trasmette, ma è il suo vissuto, segnato dai conflitti e dalle ingiustizie, a rendere il racconto unico. La sua presenza è forte, quasi tangibile, mentre le storie della Prima guerra mondiale cominciano a prendere vita, sbocciando dal profondo della memoria.
Il racconto della guerra, che il nonno condivide con i suoi nipoti, si snoda tra ricordi di gioventù, mischiati a una durezza inaspettata. Angelo Postiglione narra delle esperienze vissute durante la Prima guerra mondiale, delle trincee sul Carso, di una gioventù costretta a fronteggiare il freddo e il terrore. Combattendo per l’Italia, questa generazione di ragazzi, unexplained e spaventati, si trovò insieme a chi portava dialetti diversi che neppure si comprendevano. Il legame della famiglia, per quanto distante, è come un faro in mezzo alla tempesta, segnato dalla paura della morte e dalla lontananza dei propri cari.
Con toni pacati, il nonno sviscera il tema della guerra. Riferisce degli assalti, della vita in trincea e delle insidie che lo hanno circondato. Dal riso in abbondanza, sempre lo stesso, che finisce per causargli l’odio, fino all’episodio della pezza nella zuppa, simbolo di condizioni disumane e disagi condivisi. Racconta situazioni che esprimono la solidarietà dei compagni, un valore che resiste anche nei momenti più bui.
Arrivando a un momento cruciale del suo racconto, Angelo accenna a un episodio che ha cambiato il corso della sua vita. Un proiettile a tre millimetri dalla testa, un destino segnato che è sfuggito per un soffio. È questo il fulcro della sua narrazione, un episodio che non solo evidenzia la fragilità della vita, ma che rappresenta anche la resilienza di chi è sopravvissuto per raccontare la propria verità.
Scampato alla morte, il nonno Angelo ritorna in Campania e ricostruisce la sua vita accanto a Immacolata, la donna che diventerà la compagna di una vita intera. In questi anni, impara a viteggiare con la paura e l’incertezza, dando vita a una nuova generazione. I nove figli nascono e crescono, ognuno portatore di nuovi sogni e avventure, seguendo le orme di un padre che ha sfidato il dramma della guerra.
Il racconto di Angelo continua a viaggiare attraverso il tempo, inspirando le sue radici. I 24 nipoti, così diversi tra loro eppure legati dalla stessa storia, fanno parte di un mosaico che si espande. Attraverso famiglie che si formano e legami profondi, la memoria del nonno continua a vivere. Si intravede l’amore, l’abnegazione e la determinazione di costruire un futuro migliore, un passo dopo l’altro, malgrado le sfide.
La vendemmia, raccontata attraverso il volto gioioso dei cugini, diventa un simbolo della rinascita e della continuità. Sotto il sole d’autunno, si raccolgono i frutti del lavoro e delle esperienze, ricreando quell’atmosfera di festa collettiva che tanto piaceva al nonno. I ricordi si intrecciano in un continuum, una pallottola invisibile che segue la famiglia da generazione a generazione. La storia del nonno non è solo un racconto del passato, ma un patrimonio prezioso che continua a ispirare, a farci riflettere sulla vita e sul valore dei legami familiari.