Recenti ricerche condotte da un team di scienziati del Helmholtz Munich hanno rivelato la longevità e l’impatto della proteina Spike del SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia di COVID-19. I risultati suggeriscono che questa proteina può rimanere nell’organismo anni dopo l’infezione, specialmente concentrandosi nell’asse cranio-meningi-cervello. Questo studio fornisce nuove evidenze su come la proteina possa essere correlata a condizioni come il Long COVID e altre sequele neurologiche che continuano a colpire i pazienti, anche dopo la risoluzione dell’infezione iniziale. L’articolo, pubblicato su “Cell Host & Microbe“, presenta dettagliate ricostruzioni 3D che mostrano l’andamento dell’invasione del virus nel corpo umano.
Il lavoro di ricerca ha messo in luce come la proteina Spike del SARS-CoV-2 si accumuli e persista nell’organismo, rimanendo attiva per anni. Le immagini 3D realizzate dai ricercatori mostrano chiaramente come questa proteina riesca a invadere il cervello e le meningi, suggerendo che il virus non solo provoca sintomi acuti al momento dell’infezione, ma può anche condurre a danni duraturi. La scoperta che la proteina Spike è stata trovata in tessuti umani post mortem, e anche nei modelli murini, sottolinea l’importanza di queste osservazioni. I ricercatori hanno evidenziato che l’accumulo della proteina Spike è associato a cambiamenti vascolari e infiammatori nel cervello, il che potrebbe rappresentare un meccanismo alla base di vari disturbi neurologici osservati in pazienti affetti da Long COVID.
La proteina Spike è risultata presente in circa il 60% delle persone che avevano avuto COVID-19 in passato, anche a distanza di tempo dalla guarigione. L’analisi dei campioni di liquido cerebrospinale dei pazienti ha mostrato elevati livelli di proteine correlate a malattie neurodegenerative, come la proteina Tau e NfL. Tali scoperte non solo aprono a nuove domande sulla gestione del COVID-19, ma anche sul monitoraggio e il trattamento dei pazienti che presentano sintomi neurologici dopo l’infezione.
Nonostante i vaccini a mRNA, come quelli sviluppati da Pfizer-BioNTech, aiutino a contenere l’accumulo e gli effetti della proteina Spike, non riescono a eliminarlo completamente. I ricercatori sottolineano che la vaccinazione può comunque ridurre significativamente gli effetti avversi a lungo termine sul sistema nervoso. Nei topi vaccinati, l’accumulo della proteina Spike è stato trovato notevolmente ridotto, suggerendo che la vaccinazione rappresenti un valido strumento per mitigare le conseguenze neurologiche post COVID-19.
Le osservazioni dei ricercatori evidenziano come il vaccino possa offrire una protezione aggiuntiva, riducendo l’incidenza di sintomi gravi e complicazioni post-infezione. Questo risulta fondamentale alla luce dei dati che dimostrano l’aumento della vulnerabilità dei soggetti colpiti da Long COVID e delle possibili conseguenze neurodegenerative correlate. I risultati dello studio sottolineano l’importanza della vaccinazione non solo per la prevenzione dell’infezione, ma per il potenziale a lungo termine sulla salute neurologica.
Questo studio rappresenta una svolta importante nella comprensione delle conseguenze durature della COVID-19 e offre spunti significativi per future ricerche. Grazie ai dettagli forniti sulle modalità di persistenza della proteina Spike, i ricercatori hanno aperto una nuova frontiera nello studio delle patologie neurologiche post virus. La relazione tra la proteina e i sintomi di Long COVID richiede ulteriori indagini: è fondamentale capire come gestire i pazienti affetti e quali strategie terapeutiche possano essere efficaci per i sintomi neurologici persistenti.
La comunità scientifica è ora chiamata a considerare seriamente l’impatto a lungo termine della COVID-19 e l’importanza della vaccinazione per contenere eventuali danni neurodegenerativi. Queste scoperte sono essenziali per sviluppare linee guida cliniche efficaci e interventi che possano supportare i pazienti nell’affrontare le conseguenze a lungo termine dell’infezione. Le implicazioni di questa ricerca potrebbero estendersi ulteriormente, influenzando le politiche sanitarie e le strategie di intervento preventivo legate al COVID-19 e alle sue complicanze.