La storia della violenza politica in Italia è una trama complessa che si intreccia con eventi chiave dalla «guerra del brigantaggio» ai sanguinosi conflitti sociali del tardo Ottocento, fino ai tragici eventi delle guerre civili e degli «anni di piombo». Ad approfondire questo tema sono le opere di Breda e Caretti, che mettono in luce quanto la brutalità del fascismo abbia segnato l’identità italiana, nonostante le differenze con i totalitarismi di stampo nazista e stalinista. Le pagine di questi storici offrono uno spaccato drammatico della violenza e delle sue radici nel contesto politico italiano.
Il fascismo, sotto la guida di Benito Mussolini, ha rappresentato un periodo di grande tumulto politico in Italia, caratterizzato da una sistematica e violenta soppressione degli oppositori. Come documentato in dettaglio nel volume di Breda e Caretti, tra il 1921 e il 1924, il deputato Giacomo Matteotti, figura di spicco della politica italiana, ha subito una serie di aggressioni che culmineranno nel suo omicidio. La brutalità con cui Matteotti è stato aggredito e infine assassinato simboleggia il clima di paura e violenza che caratterizzava l’Italia di quel periodo.
L’omicidio di Matteotti non è un caso isolato, ma piuttosto parte di un fenomeno più ampio, quello dello squadrismo. I fascisti, infatti, non si limitavano ad attaccare i loro avversari in modo sporadico, ma perseguivano un’agenda sistematica per eliminare qualsiasi opposizione politica. L’importanza di queste violenze non risiede solo nel loro carattere macabro, ma nel modo in cui rappresentano l’inizio di una dittatura che si stabilisce in un clima di terrore. Nonostante le denunce e le proteste pubbliche per l’omicidio di Matteotti, il regime fascista riesce a consolidare il suo potere, silenziando le critiche e instaurando una forma di governo caratterizzata da un’aggressione sistematica nei confronti delle voci dissidenti.
La violenza politica del fascismo ha contribuito a plasmare un consenso sociale che, seppur fragile, è riuscito a dare legittimità al regime. Gli storici, come Giulia Albanese, evidenziano come la brutalità politica sia diventata un mezzo per costruire un consenso attivo attorno al fascismo. La capacità di Mussolini di attrarre consensi non può essere spiegata solo attraverso la violenza, ma richiede una comprensione più sfumata dell’importanza del contesto sociale e culturale.
Il consenso popolare verso il fascismo è stato alimentato da una serie di fattori, tra cui la stabilità apparente che il regime ha portato in un periodo di turbolenze economiche e politiche. Tuttavia, la vera domanda resta: fino a che punto gli italiani hanno approvato queste violenze? A differenza della Germania sotto il nazismo, dove la violenza era spesso giustificata da una narrativa di restaurazione economica e nazionale, in Italia non è così chiaro perché il popolo accettasse di buon grado gli abusi del regime.
L’omicidio di Matteotti non è solo la storia di un politico assassinato; è il simbolo di una nazione che si appresta a perdere le sue libertà democratiche. L’attenzione mediatica e il dibattito che seguono la sua morte rivelano una società che, pur essendo consapevole delle ingiustizie, si mostra incapace di mobilitarsi contro di esse. Questa incapacità di reagire non rappresenta solo un fallimento individuale, ma un fallimento collettivo del Paese, che si piega sotto il peso della paura e della coercizione.
Matteotti diventa, dunque, il simbolo di un’epoca che non riesce a contrapporsi all’emergere di una dittatura. La sua morte segna non solo il culmine della violenza fascista, ma anche l’inizio della rimozione di qualsiasi tentativo di opposizione politica seria. La brutalizzazione della politica, di cui parla George Mosse, trova qui la sua applicazione più drammatica, evidenziando il corto circuito tra violenza e consenso nel contesto italiano.
Nella prospettiva della storia contemporanea, la figura di Matteotti e gli eventi che hanno condotto alla sua morte continuano a sollevare interrogativi sulla natura della nostra democrazia e sulla vera essenza del totalitarismo.
La sua storia è emblematicamente legata a una Oltranza di scelte collettive che l’Italia ha compiuto nel corso degli anni. L’atto della sua uccisione celebra non solo la brutalità della dittatura, ma anche il modo in cui il Paese ha metabolizzato la violenza come un elemento di governo, accettando passivamente il clima di paura. Questa rimozione collettiva si traduce in un’amnesia storica, che porta a distorcere le responsabilità storiche del fascismo, influenzando le narrazioni politiche e sociali anche nei decenni successivi.
La figura di Giacomo Matteotti rimane, pertanto, non solo un monito per il passato ma anche un monito per il presente, affinché non si ripetano gli errori storici e non si dimentichino le conseguenze devastanti della violenza politica.