Il dibattito sul termine “scudo penale” è tornato prepotentemente alla ribalta grazie alle dichiarazioni del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in risposta a recenti interrogazioni al Senato. Secondo il ministro, il concetto di scudo penale è inaccurato. Nordio ha sottolineato l’uguaglianza della legge per tutti i cittadini, inclusi poliziotti e carabinieri, ribadendo che l’eventuale commissione di reati da parte di un pubblico ufficiale comporta conseguenze aggravate nel codice penale.
Nella sua esposizione, il ministro ha voluto rimarcare che non esiste alcuno “scudo penale” per le forze dell’ordine. La legge, ha affermato, deve rimanere equa ed applicata senza favoritismi. In caso di violazione della legge da parte di un agente, scattano automaticamente delle responsabilità severe e specifiche. Gli agenti della polizia o dei carabinieri accusati di reati non solo devono affrontare il processo legale come tutti, ma anche affrontare aggravanti specifiche legate al proprio ruolo come pubblico ufficiale.
Nordio ha richiamato l’attenzione sulla delicata questione del trattamento riservato a coloro che agiscono in situazioni di alta tensione e per rischio. Evidenziare l’esistenza di un “marchio di infamia” per un carabiniere coinvolto in un intervento critico, un’iscrizione nel registro degli indagati che potrebbe precludere ulteriori opportunità professionali, è stato uno degli aspetti più critici evidenziati dal ministro. Quando un carabiniere utilizza la propria arma, la registrazione automatica nel registro può complicare ulteriormente il suo cammino, generando un’ingiustizia nel percepito pubblico e professionale.
Un aspetto centrale del discorso di Nordio è stata la critica all’istituzione del registro degli indagati, che lui stesso ha descritto come un “istituto fallito”. Secondo il ministro, questo strumento, concepito inizialmente come una forma di tutela per chi era coinvolto in indagini, si è trasformato col tempo in uno strumento di stigmatizzazione. La creazione di una sorta di “gogna mediatica” attorno a chi viene iscritto nel registro è un problema che il ministro ha evidenziato con forte convinzione.
Nordio ha espresso preoccupazione per le conseguenze che questo porta non solo a livello individuale, ma anche istituzionale, poiché spesso compromette le cariche attualmente in carica o addirittura impedisce la nomination a cariche pubbliche future. Questo meccanismo, secondo il ministro, non offre la protezione necessaria a chi opera per garantire la sicurezza pubblica, anzi favorisce una forma di pregiudizio che deve essere necessariamente rivista.
Nelle sue dichiarazioni, il ministro ha assicurato che l’attuale governo sta studiando eventuali riforme mirate ad affrontare e risolvere queste problematiche. Nordio ha affermato che si sta elaborando un provvedimento che permetta di coniugare la necessità di garantire assistenza legale e diritti a chi operi in situazioni di rischio, senza però incorrere nell’iscrizione automatica nel registro degli indagati.
Queste misure mirano a proteggere gli operatori delle forze dell’ordine, offrendo loro un giusto supporto senza la condanna prematura e le conseguenze ad essa associate. Lo stesso Nordio ha rimarcato che l’idea è una sua “vecchia idea di 30 anni fa” e che insieme ai suoi collaboratori è impegnato per portarla a compimento. Nonostante le sfide tecniche e giuridiche che affronteranno, l’intento di fondo resta quello di migliorare la situazione attuale in favore di coloro che, ogni giorno, rischiano la propria vita per la sicurezza degli altri.