La tragica vicenda di Gelsomina Verde, una giovane vittima della violenza della camorra, ha gettato un’ombra profonda sul quartiere di Secondigliano a Napoli. Il suo tragico destino, avvenuto nel 2004, non solo ha suscitato ondate di indignazione nell’opinione pubblica, ma ha anche contribuito a mettere in luce le terribili faide tra clan mafiosi che caratterizzano la criminalità organizzata della città.
Il 22 novembre 2004, attorno alle 23:30, una Fiat 600 venne trovata completamente distrutta dalle fiamme in un viale privato Agrelli, a Napoli. All’interno del veicolo, gli inquirenti trovarono il corpo di una donna, il cui identificativo fu possibile grazie alla targa dell’auto. Dopo pochi accertamenti si apprese che il cadavere era quello di Gelsomina Verde, un’operaia di soli 21 anni. Il suo omicidio rappresentò un punto di non ritorno nella prima faida di Scampia, durante la quale ignari cittadini venivano coinvolti in violenze inaudite tra bande rivali.
Risulta fondamentale contestualizzare il contesto in cui avvenne il suo omicidio. Gelsomina era legata sentimentalmente a Gennaro Notturno, noto come ‘O Saracino’, un esponente di primo piano del gruppo scissionista in conflitto con il clan Di Lauro. La sua «colpa» era di essere stata la compagna di un uomo opposto all’organizzazione dominante. Poco dopo la sua morte, lo Stato intervenne, intraprendendo misure drastiche contro le due fazioni rivali, portando a uno smantellamento parziale delle strutture criminali.
Dopo un accurato esame degli eventi, emerse che Gelsomina fu sequestrata e sottoposta a un trattamento disumano. Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, la giovane fu torturata e uccisa con tre colpi di pistola alla testa. Le circostanze che circondarono la sua morte rivelarono la brutalità della vendetta tra i clan e come una vittima innocente possa sventuratamente pagare il prezzo delle rivalità interclaniche.
Le indagini iniziarono quasi immediatamente dopo il ritrovamento del corpo, portando all’arresto di Pietro Esposito, il quale, sebbene già coinvolto in precedenti crimini, si rivelò un collaboratore chiave in questa storia, fornendo informazioni vitali agli inquirenti. Ugo De Lucia, considerato il principale artefice del delitto, fu arrestato poco dopo e condannato all’ergastolo.
Nel 2020, dopo un’intensificazione delle indagini e grazie alle testimonianze di pentiti, le autorità riuscirono ad arrestare Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, ritenuti esecutori materiali dell’omicidio. Questi arresti, dati dall’analisi delle evidenze e dalle dichiarazioni di ex affiliati ai clan, dimostrano come la giustizia possa, seppur lentamente, raggiungere i responsabili di atti atroci.
La morte di Gelsomina Verde non fu un caso isolato ma parte di un grave fenomeno di violenza legato alla camorra. La sua storia, insieme a quella di Annalisa Durante, una ragazza di 14 anni assassinata nel 2004, scosse l’opinione pubblica e mise in evidenza l’urgenza di combattere contro la violenza delle organizzazioni mafiose, che continuano a mietere vittime innocenti.
Negli anni successivi alla sua morte, la faida di Scampia continuò a imperversare, colpendo altre persone innocenti. Dario Scherillo fu assassinato nel dicembre dello stesso anno, vittima di uno scambio di persona. Inoltre, Attilio Romanò, trentenne, morì nel gennaio 2005 in un agguato destinato erroneamente a un membro di un clan rivale.
Queste uccisioni, unitamente a quella di Gelsomina, rappresentarono una escalation di violenza senza precedenti nella storia recente della camorra napoletana, con oltre 60 omicidi documentati tra il 2004 e il 2005. Gli esperti di criminologia giustamente paragonarono questa implacabile serie di eventi alla guerra tra la Nuova Camorra Organizzata e i gruppi rivali degli anni Ottanta, mostrando come il ciclo della violenza fosse ancora molto attuale e grave. La storia di Gelsomina Verde rimane un monito tragico della fragilità della vita umana in un contesto segnato dal crimine organizzato e dai suoi effetti devastanti sulla comunità.