La recente decisione della Procura di Milano di notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali di Meta Platforms Ireland Limited ha suscitato un notevole interesse mediatico e pubblico. Le indagini, condotte dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, pongono l’accento su presunti reati fiscali legati alla gestione delle piattaforme social globali di proprietà della compagnia.
Le indagini di Meta e il loro significato
Le indagini hanno preso avvio dalla necessità di accertare la legittimità delle operazioni fiscali effettuate da Meta Platforms, in particolare per quanto riguarda l’acquisizione e il trattamento dei dati personali degli utenti. Secondo quanto emerso dalle verifiche, Meta avrebbe beneficiato in modo commerciale delle informazioni raccolte dagli iscritti ai suoi social, Facebook e Instagram, senza rispettare completamente gli obblighi fiscali previsti dalla legge italiana. In particolare, il pubblico ministero Giovanni Polizzi e il suo collega Cristian Barilli hanno condotto un’attenta analisi degli atti, evidenziando le presunte responsabilità dei rappresentanti legali della società .
Le informazioni raccolte suggeriscono che Meta Platforms ha mantenuto un “rapporto di natura sinallagmatica” con i propri utenti, in cui la fornitura dei servizi digitali non possa essere considerata gratuita. Questo punto è particolarmente rilevante, poiché implica che la società dovrebbe incamerare entrate attraverso la pubblicità e altre forme di monetizzazione, il che a sua volta comporta obblighi fiscali nei confronti dello Stato.
I dettagli delle violazioni fiscali
L’accusa principale formulata dalla Procura di Milano riguarda l’omessa dichiarazione di un imponibile di oltre 3,9 miliardi di euro per i periodi d’imposta dal 2015 al 2021. Questo importo, considerevole anche per una multinazionale come Meta, ha portato a calcolare un’imposta sul valore aggiunto evasa pari a circa 887 milioni di euro. La gravità di queste omissioni rappresenta non solo una violazione delle normative fiscali italiane, ma genera anche preoccupazioni sul rispetto delle leggi fiscali a livello europeo.
Le indagini hanno rivelato che Meta ha sfruttato le interazioni degli utenti sui social per fini commerciali, generando introiti sostanziali senza adeguato corrispettivo fiscale. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva già messo in evidenza la non gratuità dei servizi offerti da Meta, un concetto che ha trovato conferma anche nelle sentenze emesse dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato.
Cooperazione tra Enti e rispetto delle leggi fiscali
L’efficace coordinamento tra diverse agenzie governative italiane ha giocato un ruolo cruciale nell’accertamento fatto dalla Procura di Milano. La collaborazione tra l’Autorità giudiziaria, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate ha reso possibile l’attuazione delle indagini e ha evidenziato una crescente attenzione da parte dello Stato nei riguardi delle pratiche fiscali delle grandi multinazionali operanti in Italia. Il caso Meta diventa, quindi, un precedente importante, segnalando che anche le società tecnologiche più potenti e conosciute non sono esenti da obblighi legali e fiscali.
Questa situazione potrebbe fungere da deterrente per altre aziende di grandi dimensioni che operano in Italia, rafforzando la posizione dello Stato nel garantire il rispetto delle normative fiscali e nel combattere l’evasione. L’esito di tali indagini potrebbe, però, avere ripercussioni più ampie sull’intero settore, potenzialmente modificando le pratiche commerciali e fiscali delle piattaforme digitali.
Con il termine delle indagini, le prossime fasi del procedimento penale saranno cruciali per definire non solo le responsabilità individuali, ma anche il futuro regolatore delle piattaforme online operanti nel Paese.