Un caso che ha sollevato un acceso dibattito pubblico sta volgendo verso la conclusione, con il pubblico ministero di Milano, Nicola Rossato, che ha deciso di chiudere le indagini riguardanti dodici persone accusate di minacce e diffamazione aggravata dall’odio razziale. Le indagini sono state avviate per insulti rivolti alla senatrice a vita Liliana Segre attraverso i social media. Contestualmente, il pm ha anche firmato 17 richieste di archiviazione per atti di diffamazione che si sono verificati nel corso del 2022 e del 2023.
Insulti e minacce: il caso di chef Rubio
Tra i nomi più noti coinvolti in questa vicenda c’è chef Rubio, al secolo Gabriele Rubini, che ha attirato l’attenzione per alcune affermazioni pungenti fatte via Twitter. Nel novembre del 2022, Rubio ha postato commenti altamente controversi contro Segre, accusandola di connivenza con le politiche israeliane e di tacere sui crimini subiti dai palestinesi. Secondo la senatrice a vita, questi post rappresentavano attacchi diffamatori. La querela presentata le ha dato il via a un’indagine da parte della procura di Milano, con conseguente apertura di un fascicolo per diffamazione a carico dello chef.
Nonostante la gravità delle affermazioni espresse, il pubblico ministero è giunto alla conclusione che le parole di Rubio, così come quelle di altre 16 persone, non costituivano un reato. Infatti, il pm ha sottolineato come le espressioni utilizzate fossero da considerarsi più come un’espressione di critica politica, piuttosto che una volontaria diffamazione.
Critica politica o offesa?
Il provvedimento emesso dal pm Rossato ha messo in luce una questione centrale: il confine tra libertà di espressione e offesa. Nel suo documento, Rossato spiega che molte delle affermazioni fatte dai presunti hater rispecchiano una critica all’operato della senatrice Segre sui vari temi, tra cui la gestione della pandemia Covid, la guerra in Ucraina e le questioni relative al conflitto israelo-palestinese.
Il pm ha osservato che i messaggi, seppur spiccatamente duri e imprecisi nel modo in cui sono stati espressi, devono essere interpretati alla luce del contesto e della piattaforma su cui sono stati pubblicati. L’uso di termini pesanti, sebbene inaccettabile nel linguaggio corrente, è descritto come frutto di una comunicazione tipica dei social media, dove il confronto può assumere toni accesi e, a volte, inadeguati.
La fine di un’inchiesta complessa
Il termine delle indagini rappresenta un momento significativo per il dibattito sui diritti civili e sulla libertà di espressione in Italia. Mentre da un lato si riconosce l’importanza di garantire uno spazio per le critiche politiche, dall’altro si pone un interrogativo cruciale su quale sia il limite tra critica e diffamazione.
Le decisioni del pm Rossato riguardanti le richieste di archiviazione potrebbero alimentare discussioni su come gestire feedback e insulti sui social, senza cadere nell’errore di giustificare comportamenti violenti o discriminatori. La chiusura di questo caso, quindi, non segna la fine della questione, ma piuttosto l’inizio di un confronto più ampio sulle norme di comportamento online e le responsabilità legate all’uso dei social media.
In un’epoca in cui le parole possono viaggiare rapidamente e raggiungere un vasto pubblico, la società è chiamata a riflettere su come difendere al contempo la libertà di espressione e la dignità delle persone.