Myriam Sylla, campionessa della nazionale di volley femminile, ha recentemente condiviso la sua storia durante un’intervista a Vogue, in coincidenza con il suo trentesimo compleanno. La sua esperienza mette in luce non solo il suo percorso sportivo, ma anche le sfide legate alla cittadinanza italiana che ha affrontato da giovane. Un racconto che si intreccia con il contesto sociale e culturale di oggi, rivelando spunti di riflessione che coinvolgono soprattutto i giovani atleti italiani di origine straniera.
Sin da piccola, Myriam ha mostrato una passione straordinaria per il volley. Tuttavia, inizialmente i suoi genitori erano incerti riguardo al fatto di supportare questo sogno. Nonostante le difficoltà economiche e le rare opportunità nel loro Paese d’origine, hanno rapidamente realizzato che il sogno della figlia era diverso, non un riflesso dei loro desideri inappagati, ma un obiettivo genuino da perseguire.
Il sostegno dei genitori è fondamentale per il successo dei giovani atleti. In molte situazioni, si può assistere a pressioni familiari che distorcono la motivazione sportiva, ma nel caso di Sylla, il concetto di realizzazione personale ha prevalso. Le sue parole rivelano un legame profondo tra i sacrifici familiari e l’impegno richiesto per raggiungere traguardi nel mondo dello sport. Il loro aiuto non si limitava soltanto a incoraggiamenti, ma si estendeva anche a una comprensione del valore della sportività e della perseveranza nel contesto di sfide quotidiane.
Nel racconto di Myriam, emerge una realtà spiacevole: le complicazioni burocratiche legate alla cittadinanza italiana. Torna alla mente un periodo molto specifico della sua vita, quando si trovava costretta a recarsi presso la questura di Lecco per il rinnovo del permesso di soggiorno. Questa routine comportava svegliarsi all’alba per accodarsi e sperare di poter procedere con le pratiche necessarie, esponendosi a un sistema farraginoso che non contemplava la necessità di semplificare il percorso per i cittadini di origine straniera.
Myriam racconta con frustrazione di come, nel 2024, continuino ad esserci giovani come lei, nati e cresciuti in Italia, che si trovano isolati da un’identità che sentono propria. Queste normative, spesso percepite come ingiuste, creano una divisione non solo legale, ma profondamente culturale. Se una nazione è rappresentata da chi la abita, la questione si fa ancora più rilevante: come possono i giovani crescere in un contesto di appartenenza, se la loro identità viene costantemente messa in discussione?
Myriam Sylla non si limita a lamentarsi delle ingiustizie che ha vissuto; appare determinata a far sentire la sua voce per tutti coloro che si trovano in una situazione simile. L’idea che giovani studenti, amici e compagni di squadra possano crescere senza un passaporto italiano la sconvolge profondamente. Questo scenario porta a riflessioni sul riconoscimento delle identità multiple e sulla necessità di un approccio più inclusivo da parte delle istituzioni.
La questione della cittadinanza, oltre che un diritto, diventa così un tema di giustizia sociale. I ragazzi che, come Myriam, hanno vissuto in Italia sin da piccoli, meritano di essere considerati italiani a tutti gli effetti, indipendentemente dalle origini dei loro genitori. Questo desiderio di appartenenza è alla base della crescita sociale e culturale di una nazione, in particolare in un’epoca in cui le identità sono più fluide e complesse.
In un’epoca in cui il mondo dello sport è un potente veicolo per esprimere valori universali come l’uguaglianza e l’inclusione, la storia di Myriam Sylla diventa un esempio lampante di come il talento possa brillare nonostante gli ostacoli burocratici e sociali. La sua voce rappresenta un appello a combattere per un riconoscimento autentico e paritario per tutti coloro che crescono sotto il cielo italiano.