Napoli lancia la terapia genica per la sindrome di Usher di tipo 1B: una speranza per i pazienti

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Recentemente, la Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” ha fatto la storia della medicina somministrando per la prima volta al mondo una terapia genica per la sindrome di Usher di tipo 1B , una rara malattia genetica associata a sordità e perdita della vista. Questa innovativa terapia è il risultato della collaborazione tra AAVantgarde Bio, l’Istituto Telethon di genetica e medicina e le università Vanvitelli e Federico II. L’obiettivo è quello di valutare sia la sicurezza sia l’efficacia di questa nuova strategia terapeutica, che potrebbe avere applicazioni per un gran numero di altre malattie genetiche finora senza trattamento.

La sindrome di Usher: caratteristiche e incidenza

Comprendere la sindrome di Usher di tipo 1B

La sindrome di Usher è una malattia genetica che provoca sordità e progressiva perdita della vista a causa della degenerazione della retina. Nel caso specifico dell’Usher di tipo 1B, i pazienti nascono sordi e mostrano disfunzioni vestibolari, con una progressiva cecità che inizia nel primo decennio di vita. Questa condizione è causata da mutazioni nel gene MYO7A, la cui grandezza rappresenta un problema significativo per le attuali terapie geniche, in quanto non può essere inserita nei vettori virali tipicamente utilizzati.

L’incidenza della malattia

Secondo le stime, la sindrome di Usher di tipo 1B colpisce circa 20.000 persone negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Sebbene siano disponibili interventi chirurgici per la sordità, non esistono attualmente cure per il deterioramento della vista, il che rende la ricerca di nuove opzioni terapeutiche di fondamentale importanza. Questa nuova terapia genica rappresenta una speranza concreta per questi pazienti, potenzialmente in grado di affrontare esigenze mediche ancora non soddisfatte.

La prima somministrazione della terapia

Il paziente benedicente e l’équipe medica

Il primo trattamento al mondo per un paziente affetto dalla sindrome di Usher di tipo 1B si è svolto grazie alla collaborazione della Clinica Oculistica dell’Università di Napoli, condotto dall’équipe diretta dalla Professoressa Francesca Simonelli. Simonelli è considerata tra le figure più autorevoli nel campo della terapia genica oculare e il suo coinvolgimento nel progetto ha garantito che il trattamento fosse eseguito secondo gli standard più elevati.

Il trattamento e la sua metodologia

La terapia genica applicata in questo caso utilizza un approccio innovativo chiamato ‘dual-AAV’. Questa metodica fa uso di due vettori adeno-associati, ciascuno contenente metà delle informazioni genetiche necessarie per produrre la proteina terapeutica. Gli enzimi all’interno delle cellule pazienti sono così in grado di combinarsi per produrre la proteina completa e funzionale. Quest’intervento mira a garantire che le proteine siano prodotte in quantità adeguate per affrontare la degenerazione retinica associata alla sindrome di Usher.

L’importanza della ricerca e il sostegno accademico

Il ruolo delle istituzioni accademiche

La realizzazione del progetto Luce-1 sottolinea l’importanza del supporto accademico e delle collaborazioni internazionali nella ricerca scientifica. Il rettore dell’Università Vanvitelli, Gianfranco Nicoletti, ha espresso la sua soddisfazione per la partecipazione della clinica in questo innovativo progetto, evidenziando come le ricerche scientifiche possano portare a miglioramenti significativi nelle opzioni terapeutiche per malattie rare.

Un futuro promettente

In un commento, il rettore Matteo Lorito dell’Università Federico II ha sottolineato l’importanza di questo trattamento nel superare limiti tecnici presenti nella terapia genica. Grazie al lavoro del professor Alberto Auricchio, che ha guidato parte della ricerca, si è aperta una strada innovativa per il trattamento di malattie ereditarie della retina, non solo per la sindrome di Usher, ma anche per molte altre condizioni patologiche. L’obiettivo di questi progetti è quello di fornire soluzioni concrete e immediatamente applicabili, che possano migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie rare.

La speranza è ora rivolta ai risultati del progetto Luce-1 e al suo potenziale per cambiare la vita di molti pazienti in tutto il mondo.

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