Il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni continua a far discutere l’Italia e non solo. Davanti alla Prima Corte di Assise, Paola Deffendi, madre del ricercatore friulano, ha reso una testimonianza drammatica che ha messo in luce il dolore e la brutalità subita dal figlio. L’aula bunker di Rebibbia ha visto la presenza di quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del crimine, mentre le emozioni in aula si sono intensificate con il racconto di Deffendi, pronto a far riemergere il ricordo di un giovane ricercatore che ha perso la vita in circostanze terribili.
Durante la sua testimonianza, Paola Deffendi ha descritto in modo vivido il momento in cui ha dovuto riconoscere il corpo di Giulio. “Quando ho dovuto riconoscere il corpo di Giulio ho potuto vedere solo il suo viso: ho visto la brutalità, la bestialità, sul corpo di nostro figlio”, ha dichiarato la donna. La disperazione di una madre che fronteggia la realtà più cruda è palpabile. Il corpo di Giulio era coperto da un telo e la madre ha chiesto, con un’umanità straziata, di vedere quantomeno i piedi, ma si è sentita rispondere da una suora: “suo figlio è un martire”. Questa frase ha segnato un punto di non ritorno per Deffendi, poiché ha compreso che il figlio era stato vittima di torture.
Sotto il giusto interrogatorio del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, Paola ha ricostruito le ultime ore di vita di Giulio, rivelando come l’ultimo contatto avvenne via Skype, il 24 gennaio 2016. Tre giorni dopo, la terribile notizia della sua scomparsa ha scosso la famiglia. “Quando mio marito mi ha chiamato, la sua voce era inesprimibile”, ha confessato. La situazione sembrava serena, con Giulio che si sentiva sicuro in Egitto anche dopo le tensioni legate al colpo di stato di al-Sisi. Sulla questione, Deffendi ha enfatizzato come il figlio non avesse mai mostrato timori durante il suo soggiorno.
Paola Deffendi ha poi dettagliato i momenti di angoscia vissuti nei giorni seguenti la scomparsa del figlio. L’entrata in casa dell’ambasciatore Massari insieme alla ministra Guidi ha rappresentato un momento decisivo e inquietante. La donna ha ricordato con precisione ciò che il rappresentante diplomatico aveva riferito, avvertendo la famiglia che non portava buone notizie. “Quando sono arrivati a casa ci hanno abbracciato, presentando le condoglianze e comunicandoci che avevamo solo cinque minuti prima che la news fosse diffusa”. L’emozione di quel momento, carico di tristezza e apprensione, ha segnato un capitolo tragico nella vita della famiglia Regeni.
Con voce rotta, la madre del ricercatore ha catturato l’attenzione dell’uditorio con la gravità delle sue parole. La rivelazione della morte del figlio ha segnato l’inizio di una battaglia che continua a protrarsi, mentre la ricerca della verità rimane aperta. Queste testimonianze non giungono solo come un grido di dolore, ma anche come un appello alla giustizia per Giulio e per tutte le vittime di violenze simili.
Paola Deffendi, entrando in aula, ha voluto esprimere anche un pensiero per Alberto Trentini, un altro concittadino perseguitato dalla crudeltà. “La nostra famiglia è molto vicina a quella di Alberto Trentini”, ha dichiarato. Trentini è attualmente detenuto in Venezuela, dov’era in missione con l’ong ‘Humanity & Inclusion’. Le parole di Deffendi mettono in evidenza il senso di comunità che si instaura in situazioni tragiche e la volontà di non dimenticare le ingiustizie.
L’incontro del processo per Giulio Regeni è divenuto quindi anche un’occasione per ricordare le ingiustizie che colpiscono cittadini italiani all’estero e la necessità di un impegno costante nella ricerca della verità e della giustizia. Tra le pieghe della sua testimonianza, emerge un messaggio di speranza e perseveranza, testimonianza di un dolore profondo ma mai domo. Il desiderio di giustizia per Giulio Regeni e per Alberto Trentini continua a serpeggiare, unendo le famiglie e l’opinione pubblica in un comune impegno.