Nel cuore del Parco Verde, un quartiere di Caivano, Napoli, si consuma una tragedia silenziosa che ha radici profonde nel tessuto sociale ed economico della regione. Don Maurizio Patriciello, parroco di questa comunità, ha recentemente testimoniato in una commissione parlamentare di inchiesta, esprimendo il suo profondo disagio per la situazione in cui versa la sua parrocchia. Le sue parole hanno acceso un faro su un fenomeno di abbandono istituzionale e di emergenza per la sicurezza che ha caratterizzato questo territorio per decenni. La cronaca si arricchisce di un racconto che mette a nudo le ferite di una comunità colpita dalla criminalità e dall’indifferenza.
Durante il suo intervento presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, don Maurizio Patriciello non ha risparmiato critiche ai vertici istituzionali e agli amministratori che, a suo avviso, hanno trascurato le problematiche di quella zona. Con voce tremante, il parroco ha rivelato i retroscena del suo vissuto sotto scorta, sottolineando l’importanza della propria sicurezza e quella dei suoi collaboratori. Recentemente, ha ricevuto una lettera minatoria che lo ha costretto a riflettere sulla sua vita e sulla delicatezza della sua missione.
“Mi mettete alla berlina“, ha esclamato Patriciello, facendo riferimento alle continui attacchi subiti anche attraverso le dichiarazioni pubbliche di alcuni politici, tra cui il governatore Vincenzo De Luca. “Non voglio morire da martire, ma desidero vivere a lungo e continuare a servire la mia comunità“. Il suo richiamo a un impegno collettivo per il bene comune si traduce in una richiesta di solidarietà e di giustizia che va oltre la sua persona, abbracciando l’intero quartiere.
Don Patriciello ha puntato il dito contro l’idea di un fallimento totale del modello Caivano, citando le affermazioni di Roberto Saviano e sollecitando una riflessione più profonda sulla condizione di vita nel Parco Verde. “Dobbiamo tutti arrossire di vergogna per come abbiamo lasciato deteriorarsi la situazione“, ha specificato il parroco, invitando a non cadere nell’accusa facile, ma a proporsi come soggetti attivi di cambiamento.
“Non si possono dare giudizi affrettati su un’intera comunità senza averne compreso la complessità“, ha proseguito, rammentando che i politici hanno il dovere di scendere in campo e confrontarsi con la gente, “perché in un solo anno non si può trasformare un luogo in un paradiso“. La sua difesa della comunità si fa veemente: gli omicidi recenti non costituiscono la prova inconfutabile di un insuccesso, bensì la manifestazione di un problema che affonda le radici in anni di abbandono e sfruttamento.
La condizione di vita nel Parco Verde è caratterizzata da problematiche socio-economiche, ma anche da un degrado ambientale che rappresenta un allarme per la salute dei residenti. “La gente ha paura di perdere i propri figli“, ha denunciato don Patriciello, descrivendo una realtà in cui le morti, spesso prematuramente causate, sono all’ordine del giorno. Bambini che muoiono e famiglie che si trovano a dover fare i conti con lutti strazianti.
Il parroco ha richiamato l’attenzione sull’impatto dello STIR situato nelle vicinanze, il quale contribuisce a un’aria irrespirabile e a un fetore insopportabile, rendendo ancora più precaria l’esistenza degli abitanti. “Si parla di materiali scadenti utilizzati per costruire gli edifici, che hanno causato la morte di molte persone“, ha proseguito, evidenziando come il degrado architettonico e ambientale rappresenti un attacco alla vita stessa e alla dignità degli individui.
Don Patriciello, infine, non ha evitato di affrontare la questione della criminalità organizzata, che in questa area si presenta sotto forma di camorra. “Con chi vuole delinquere dobbiamo essere spietatamente severi“, ha affermato, ma ha anche sottolineato la necessità di una comprensione più profonda di chi vive situazioni di estrema necessità e si trova forzato a delinquere per sopravvivere. La sua riflessione pone un interrogativo inquietante: “Abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere?“.
Il parroco ha quindi messo in evidenza la gravità di una situazione che richiede non solo interventi repressivi, ma una reale reintegrazione sociale e un ripristino della fiducia nelle istituzioni. “La vergogna è che un’amministrazione comunale venga sciolta per la seconda volta consecutiva“, ha chiosato, sottolineando che una vera soluzione richiede un approccio collettivo e deciso da parte di tutti gli attori coinvolti. La camorra, spiega, non cerca necessariamente la morte, ma può arrivare a distruggere vite pur di ottenere denaro. Una verità scomoda che necessita di un mutamento profondo e immediato.