Processo a Napoli: quattro condanne per membri di una cellula neonazista con legami storici

Un importante processo si è concluso presso la Corte di Assise di Napoli, dove quattro individui sono stati condannati per il loro legame con un’associazione di stampo neonazista ritenuta pericolosa per la sicurezza nazionale. L’inchiesta ha messo in luce non solo i crimini dei membri della cosiddetta Ordine di Hagal, ma ha anche rivelato un legame con militanti di Ordine Nuovo a Caserta, risvegliando l’attenzione su atti di sovversione che sembrano protrarsi nel tempo.

Le condanne inflitte e la ristrutturazione dell’accusa

La Corte di Assise ha inflitto pene significative ai membri coinvolti: Maurizio Ammendola e Michele Rinaldi, entrambi di età compresa tra i 45 e i 49 anni, hanno ricevuto una condanna di 5 anni e 6 mesi. Gianpiero Testa, più giovane, 27 anni, ha avuto una pena di 3 anni e 6 mesi, mentre Massimiliano Mariano, 48 anni, è stato condannato a 3 anni di reclusione. L’aspetto interessante del verdetto è rappresentato dalla decisione della Corte di rivedere e riqualificare l’associazione di terrorismo in un’associazione sovversiva, ridimensionando quindi l’interpretazione del reato.

Il processo ha visto la partecipazione attiva dello Stato come parte offesa e le indagini sono state condotte con rigore dalla Polizia di Stato, attraverso la Digos di Napoli e la Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, portando all’arresto dei quattro individui il 15 novembre 2022. Le accuse principali riguardavano una serie di attività pianificate, tra cui atti di terrorismo nel Napoletano, focalizzandosi principalmente sul centro commerciale Vulcano Buono a Nola, concepito dall’architetto Renzo Piano.

L’organizzazione e il suo scopo

Secondo le indagini, Maurizio Ammendola era il presidente dell’Ordine di Hagal e svolgeva un ruolo cruciale nella strutturazione e nell’indottrinamento dei membri, utilizzando anche piattaforme online come Facebook, Telegram e YouTube per proselitismo. Michele Rinaldi, in qualità di vicepresidente, affiancava Ammendola nelle operazioni, mentre Massimiliano Mariano contribuiva nella diffusione di contenuti e nella valutazione di nuovi adepti. Gianpiero Testa aveva un compito diverso, occupandosi di organizzare eventi e riunioni, mantenendo i collegamenti con associazioni estremiste, non solo italiane ma anche ucraine e di altri Paesi.

La rete operativa dell’associazione non si fermava quindi al territorio puramente nazionale, ma si estendeva oltre confini, mettendo in discussione la dimensione di pericolo rappresentata da queste organizzazioni. Le testimonianze emerse durante il processo hanno evidenziato anche la presenza di membri latitanti come Anton Rodomsky, che era coinvolto nell’addestramento militare.

Rivelazioni sorprendenti sul legame con Ordine Nuovo

L’udienza ha svelato scottanti dettagli riguardanti il contatto tra i membri di Ordine di Hagal e figure collegate a Ordine Nuovo, un gruppo storico di estrema destra. Secondo i testi, Ammendola avrebbe avuto incontri con intermediari a Caserta per discutere strategie volte a limitare l’attenzione da parte delle forze di polizia. Queste riunioni avevano l’obiettivo dichiarato di “abbassare i toni” delle dichiarazioni pubbliche al fine di evitare di attirare l’attenzione della Digos e della Procura di Napoli.

Ciò motiva ulteriormente l’interpretazione della Corte, la quale ha sottolineato come l’Ordine di Hagal fosse tutt’altro che un’accademia culturale. Infatti, è stata riconosciuta la sua funzione di associazione eversiva mirante a minare le istituzioni democratiche, servendosi dell’opposizione che si era venuta a creare durante la pandemia da Covid-19 per giustificare la propria esistenza.

La minaccia attuale e le implicazioni future

Il processo ha messo in luce un panorama inquietante di riflessi storici e relazioni tra diverse cellule estremiste. L’Ordine di Hagal, con la sua gerarchia e struttura militante, non si limita a minacciare il contesto attuale ma sembra ancorato a una tradizione di violenza e sovversione risalente agli anni ’70. Nelle aule di tribunale, è emerso un quadro allarmante: membri addestrati all’uso di armi, piani per attacchi mirati e una continua istigazione all’odio razziale.

La scoperta della presenza di un componente armato, in questo caso Anton Radomsky, latitante e in possesso di una granata da guerra, sottolinea ulteriormente la serietà della minaccia rappresentata. I casi come quello di Napoli evidenziano l’urgenza di strategie più efficaci per contrastare l’ultradestra e i suoi tentativi di infiltrarsi nella società. La questione non si limita a una condanna di singoli, ma richiede una riflessione più profonda su come affrontare organizzazioni che, nonostante le perdite subite, continuano a tramandarsi attraverso reti clandestine di contatti e ideologie.

Published by
Valerio Bottini