Un’importante udienza si è svolta oggi presso il Tribunale di Caltanissetta, dove sono stati chiamati a testimoniare figure di alto profilo provenienti dal mondo della giustizia e delle forze di polizia. Al centro dell’attenzione, il processo che coinvolge due generali dei Carabinieri e un ex poliziotto, accusati di depistaggio in relazione alle indagini sulla strage di Capaci. Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia hanno sollevato interrogativi sul comportamento di alcuni degli ex investigatori antimafia, a partire dalla possibile manipolazione delle indagini su un episodio cruento che ha segnato la storia italiana.
Oggi il processo ha visto la presenza di testimoni di grande rilievo, tra cui l’ex Procuratore Nazionale Antimafia ed ex Presidente del Senato, Pietro Grasso, e l’ex Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. Entrambi sono stati chiamati a riferire sulle indagini condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia di Palermo a partire dal 2001, specificatamente per quanto riguarda l’operazione contro il boss latitante Bernardo Provenzano. L’accusa, guidata dal PM Pasquale Pacifico, sostiene che gli accusati, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, avrebbero consapevolmente depistato le indagini sulla strage di Capaci, non attribuendo il giusto peso alle rivelazioni di Pietro Riggio, un ex agente della Polizia penitenziaria.
Riggio, attualmente collaboratore di giustizia, ha riferito dettagli inquietanti, suggerendo che le dichiarazioni iniziali fornite ai due ufficiali non fossero state adeguatamente utilizzate, per la cattura del pericoloso latitante e per scoprire un piano di attentato contro l’ex giudice Leonardo Guarnotta, che si occupava di casi legati alla mafia. Questo punto ha suscitato forte attenzione, sollevando interrogativi sulla professionalità e l’integrità degli investigatori coinvolti.
L’ex poliziotto Giovanni Peluso è anch’esso sotto processo e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Le accuse indicano che Peluso avrebbe facilitato le operazioni di Cosa nostra, ricoprendo un ruolo chiave nel mantenere in latitanza elementi di spicco dell’organizzazione mafiosa.
All’inizio dell’udienza, si è verificata una pausa dovuta alle eccezioni sollevate dalla difesa degli imputati. I legali di Pellegrini e Tersigni hanno sostenuto che i loro clienti avrebbero dovuto essere interrogati in qualità di indagati, poiché le loro dichiarazioni iniziali erano state rese in un contesto che potenzialmente comprometteva il loro diritto di difesa. Tuttavia, il PM Pacifico ha contestato questa tesi, e il Presidente del Tribunale Francesco D’Arrigo ha rigettato le eccezioni, consentendo così la prosecuzione dell’udienza.
Questo scambio di battute giuridiche mette in evidenza le profonde tensioni legali attorno al caso. Seppure entrambi gli ufficiali abbiano negato le accuse, le questioni procedurali richiedono un’attenta analisi, poiché possono influenzare l’andamento dell’intero processo. La difesa di Tersigni ha dichiarato che i generali avrebbero semplicemente conversato per chiarire i fatti trascorsi, ma il contesto accuse e testimonianze rendono questa posizione vulnerabile a scrutinio e critica.
Un aspetto cruciale del dibattito concerne le rivelazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. Negli interventi passati durante il processo Capaci bis nel 2019, Riggio ha descritto come Peluso, il suo ex superiore, avesse in mente di eliminare il giudice Guarnotta per motivi legati alla mafia. Le sue testimonianze, rese con il timore di ripercussioni, hanno svelato un quadro di connivenza e complicità che mette in crisi la fiducia nelle istituzioni deputate a combattere la criminalità organizzata.
Nel 2000, Riggio ha sottolineato di aver avvertito il colonnello della DIA riguardo ai piani di attentato, evidenziando un intento chiaro da parte di Cosa nostra. Anche se la sua credibilità è stata messa in discussione, le sue rivelazioni dipingono uno scenario inquietante di rilevante valore investigativo. Il prossimo 11 febbraio, Riggio tornerà a testimoniare, illuminando ulteriormente le circostanze in cui si sono svolti i fatti.
La sfilata di testimonianze di alti funzionari e magistrati continuerà a dare forma a una complessa vicenda che collega la mafia e le istituzioni statali, con l’attenzione rivolta non solo ai personaggi coinvolti direttamente, ma anche alle dinamiche più ampie che caratterizzano la lotta contro la mafia in Italia. Il processo, infatti, non è solo un’inchiesta penal giuridica, ma rappresenta un’analisi profonda sulle interazioni fra giustizia e criminalità, un tema che continua a essere al centro del dibattito pubblico.