Un’azione di protesta ha coinvolto ieri, in Campania, numerosi concessionari di stabilimenti balneari, che hanno scelto di aprire i loro lidi soltanto a partire dalle 9:30. Questa iniziativa, denominata “sciopero degli ombrelloni e dei lettini”, è stata indetta in risposta a una nuova direttiva dell’Unione Europea, che obbliga gli Stati membri a indire gare per la gestione delle spiagge in concessione. Attualmente, le concessioni scadute a fine 2023 sono state prorogate sino a dicembre 2024, una decisione contestata da una recente sentenza del Consiglio di Stato.
I concessionari balneari, tra cui Mario Morra del Bagno Elena di Napoli, hanno visto nell’adeguamento alle normative europee una minaccia ai loro interessi. “In Campania – sostiene Morra, che rappresenta anche il sindacato balneari regionale – il 90% dei lidi ha aderito allo sciopero”. Secondo Morra, i concessionari temono che l’imposizione di gare per le concessioni metta a rischio non solo le loro attività, ma anche l’occupazione di circa 150.000 lavoratori, un universo che coinvolge un milione di persone nell’indotto. Il timore è che, in assenza di misure di sostegno da parte del Governo e di risposte chiare da Bruxelles, la prossima fase di protesta possa diventare più intensa, portando alla chiusura degli stabilimenti.
La comunicazione tra i concessionari e il Governo Meloni risulta insufficiente agli occhi degli operatori balneari, che chiedono un intervento concreto. Morra ha sottolineato che i clienti hanno mostrato solidarietà durante la giornata di sciopero, dimostrando di comprendere le richieste dei gestori. I balneari auspicano che le istituzioni prendano in seria considerazione la situazione, al fine di evitare una escalation delle tensioni: “Non vogliamo arrivare a forme più drastiche”, ha affermato Morra, esprimendo la speranza che il Governo prenda in mano la situazione prima della prossima data di protesta, fissata per il 29 agosto.
Il tema delle concessioni balneari è da tempo al centro di un acceso dibattito sia politico sia sociale. I concessionari, che gestiscono spesso le loro attività da decenni, si oppongono fermamente a un sistema che preveda la messa a gara delle spiagge senza adeguate compensazioni per chi esce dal mercato. La richiesta di un indennizzo per gli investimenti effettuati nel corso degli anni è diventata centrale nel loro programma di difesa.
Dall’altra parte del dibattito, un consistente movimento di opinione spinge per un cambiamento del rapporto tra spiagge pubbliche e private, proponendo una revisione della percentuale di arenili in concessione. Oggi, gran parte delle coste italiane è dominata da concessioni private, e in Campania il piano di utilizzo delle aree demaniali ha stabilito una percentuale di soli 30% per i litorali destinati alla libera balneazione. Gli attivisti chiedono una revisione più equa che permetta un accesso maggiore alle spiagge libere e attrezzate.
Una delle questioni più dibattute riguarda i costi delle concessioni per i privati, un aspetto spesso sottovalutato. Le cifre che i concessionari pagano allo Stato per l’utilizzo degli arenili sono considerate esigue rispetto ai ricavi elevati che possono derivare da queste attività, come dimostrano anche inchieste recenti pubblicate da testate locali.
Il futuro delle concessioni balneari in Italia è dunque in un equilibrio instabile: da un lato, la necessità di adeguarsi alle normative europee, dall’altro, la fortissima volontà degli imprenditori di mantenere i diritti acquisiti nel tempo. La mediazione tra queste due posizioni è cruciale per evitare instabilità economica nel settore balneare, che è vitale per l’economia turistica delle località costiere. Con il termine delle proroghe in arrivo, le aspettative su come si sviluppare questo tema nelle prossime settimane sono elevate, sia tra i concessionari che tra i loro clienti.