La rapina subita dal calciatore David Neres, avvenuta a Napoli, ha destato scalpore. L’incidente ha coinvolto un attacco violento e ha portato all’arresto di tre uomini, con l’emergere di alcuni legami con dipendenti di un’azienda di raccolta rifiuti. Gli sviluppi delle indagini rivelano un piano ben orchestrato, sostenuto da complici che hanno tentato di nascondere le proprie tracce, lasciando trasparire l’esistenza di un contesto criminale radicato nella zona.
Il violento episodio si è consumato in via Nino Bixio, pochi istanti dopo la partita tra Napoli e Parma. David Neres, attaccante brasiliano, è stato bloccato mentre si trovava a bordo di un minivan. Gli aggressori, descritti come particolarmente audaci, hanno infranto il finestrino del veicolo, puntando un’arma contro il calciatore per costringerlo a consegnare un orologio dal valore di oltre 100mila euro. Neres ha riferito di essere stato affrontato in inglese, una scelta linguistica che potrebbe evidenziare la volontà dei rapinatori di minimizzare qualsiasi rischio di riconoscimento.
Nel verbale depositato presso la Polizia di Stato, il calciatore ha descritto non solo il momento della rapina, ma anche il clima di intimidazione e vulnerabilità in cui si è trovato, avendo recentemente lasciato il Brasile e non essendo ancora integrato totalmente nella cultura locale. L’ordinanza emessa dai carabinieri ha condotto all’arresto di Gianluca Cuomo, Giuseppe Vitale e Giuseppe Vecchio, tutti residenti nel Rione Lauro a Fuorigrotta, un’area nota per alimentare una certa criminalità.
Le indagini hanno rivelato che i tre rapinatori non hanno agito da soli. Due dipendenti di Asia, l’azienda di raccolta rifiuti di Napoli, sono stati identificati come complici chiave. Tra questi, il padre di uno degli arrestati ha coadiuvato nel recupero degli aggressori dopo la rapina. Questo individuo ha recuperato i rapinatori utilizzando un veicolo già sotto sorveglianza per la sua associazione con il clan Iadonisi, noto nella zona di Fuorigrotta.
Le autorità hanno appurato che, subito dopo il colpo, il padre è stato in grado di spostarsi nell’area indicata dal figlio, suggerita con la frase “dove lavori tu”, segnalando il deposito dell’Asia come punto d’incontro. Questa scelta strategica ha reso più complicato il lavoro degli investigatori, che ora si trovano a dover esplorare legami più ampi tra criminalità e occupazione regolare nella comunità.
Una parte cruciale del piano messo in atto dai rapinatori è stata la loro decisione di disfarsi rapidamente delle prove. Dopo l’azione, sono stati visti nel trasporto di abiti, caschi e scarpe nel camion dei rifiuti, fornendo così una dimostrazione di come il gruppo cercasse di eliminare ogni possibile indizio che potesse riconnetterli alla rapina. Questo gesto è stato immortalato dalle telecamere di sorveglianza, che hanno catturato i rapinatori ridotti a circolare con ai piedi solo calzini, a testimonianza dell’estrema urgenza con cui hanno cercato di confondere le indagini.
L’evento ha inoltre attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, non solo per la gravità della rapina, ma anche per il modo in cui è stata orchestrata. L’intercettazione di comunicazioni tra i soggetti coinvolti durante il tentativo di smaltire le prove ha fornito elementi concreti per l’inchiesta, evidenziando il collegamento tra criminalità e lavoro legittimo nel contesto urbano di Napoli. Le operazioni avviate dai carabinieri potrebbero ora portare a ulteriori sviluppi e identificazioni di complici o taciti portatori di responsabilità.
In questo clima di crescente allerta, l’integrità della comunità e la sicurezza pubblica rimangono tematiche di vitale importanza. Le autorità sono al lavoro per garantire che episodi simili non si ripetano e per far luce su un contesto criminale che, nonostante gli arresti, sembra ancora ben radicato nelle dinamiche sociali e lavorative della città.