Il 2 dicembre 2023, il dramma del suicidio di Gennaro Giordano, un uomo di 39 anni, ha scosso la comunità di Napoli. A distanza di un anno dalla tragica decisione di Gennaro di togliersi la vita, il padre, Armando Giordano, ha deciso di rendere pubbliche le lettere lasciate dal figlio, esprimendo la necessità di fare chiarezza sulle circostanze che hanno portato a questo triste epilogo. Le missive contengono rivelazioni inquietanti, tra cui accuse di mobbing e discriminazione legate alla sua identità sessuale, che spingono Armando a chiedere un’indagine approfondita da parte della Procura di Torre Annunziata.
Un contesto familiare e lavorativo complesso
Gennaro Giordano, originario di Napoli, aveva costruito una propria vita indipendente, condividendo il suo appartamento con due cagnoline, una bulldog francese e un’altra dogo. Vissuto in una famiglia che lo supportava incondizionatamente, la relazione con i genitori e i fratelli sembrava forte. Nonostante ciò, Gennaro ha vissuto in un profondo malessere, parzialmente legato alla sua vita lavorativa. Nelle lettere indirizzate alla famiglia, Gennaro esprimeva il senso di pesantezza e impotenza che provava nella sua quotidianità, descrivendo un ambiente di lavoro oppressivo e discriminante.
In una delle lettere, Gennaro afferma: «Mi sento un peso per la mia famiglia e per le persone che mi stanno attorno». Questo evidenzia un conflitto interiore significativo, intaccato ulteriormente dalla sua esperienza lavorativa. Il bullismo professionale e le pressioni che ha subito, come denunciato da Armando, sono diventati un fardello insopportabile per lui. Armando Giordano ha sottolineato come la Procura di Torre Annunziata abbia aperto un fascicolo, evidenziando che i nomi citati nelle lettere rappresentano coloro che Gennaro accusa di aver contribuito alla sua condizione psicologica precaria.
L’identità sessuale e le conseguenze sociali
Un aspetto cruciale del caso è l’identità sessuale di Gennaro, che era dichiaratamente gay. Nonostante avesse ricevuto accettazione e sostegno da parte della propria famiglia, le lettere suggeriscono che sul posto di lavoro egli fosse oggetto di discriminazioni. Armando ha affermato che il figlio ha subito forti pressioni psicologiche a causa della sua omosessualità, contribuendo in modo determinante alla sua depressione. Secondo Gennaro, il suo capo era un’espressione di bigottismo e alimentava un ambiente ostile nei confronti dei “diversi”, causando un ulteriore isolamento del giovane.
Nel messaggio di addio che ha lasciato, Gennaro ha parlato di un ciclo di depressione dal quale non riusciva a liberarsi, chiedendo specificamente di non addossare colpe ai familiari, ponendo l’accento su un clima di lavoro dannoso e tossico. Queste lettere illuminano un tema tragicamente attuale: la necessità di affrontare e combattere la discriminazione e il mobbing sul lavoro, in particolare nei confronti delle persone LGBTQ+.
La richiesta di verità e giustizia da parte della famiglia
A un anno dalla morte di Gennaro, Armando Giordano ha pubblicamente chiesto giustizia e verità per il figlio, spingendo le autorità competenti ad approfondire le indagini. Le missive di Gennaro sono considerate da Armando una chiave fondamentale per comprendere le circostanze che hanno portato al suicidio e per identificare le responsabilità di chi ha influito negativamente sulla vita di suo figlio.
Dopo la lettura delle lettere, è evidente che Gennaro desiderava un cambiamento, non solo per se stesso ma per chi come lui vive quotidianamente situazioni di disagio e rifiuto. La famiglia Giordano sta, quindi, portando avanti una battaglia per la verità, con la speranza di evitare che tragedie simili possano ripetersi in futuro. In un paese che deve ancora affrontare le sfide legate all’uguaglianza e alla discriminazione, la storia di Gennaro Giordano rimane un triste monito sull’importanza di creare ambienti lavorativi inclusivi e rispettosi per tutti.