La questione del rinnovo delle concessioni balneari in Italia è al centro di un acceso dibattito, che coinvolge gestori, lavoratori del settore e cittadini. Gli operatori chiedono il rinnovo delle concessioni, rivendicando un impegno decennale nella cura delle spiagge, mentre la comunità esprime crescente preoccupazione per la gestione degli spazi pubblici. Le sfide legate alla trasparenza fiscale e alle pratiche commerciali stanno sollevando interrogativi sulla sostenibilità di questo modello di business.
Diego Casadei, Presidente Bagnini Riccione, ha espresso la preoccupazione di molti gestori di stabilimenti balneari in Italia. Con l’approssimarsi della scadenza del 31 dicembre 2024, si teme che i lidi vengano messi all’asta, mettendo a rischio la continuazione di un servizio che, a detta loro, è vitale per la comunità. “Dall’1 Gennaio del 2025 rischiamo di perdere i lidi, senza tener conto del passato e di chi per decenni ha curato le spiagge,” afferma Casadei, facendo riferimento ai circa 130 stabilimenti presenti lungo i 7 chilometri di costa di Riccione. Secondo il suo parere, il futuro delle attività balneari è incerto e preoccupante, sottolineando il valore economico che questi gestori apportano nel lungo termine.
La questione non si limita a Riccione, ma si estende a tutta Italia, dove gli stabilimenti affrontano la stessa incertezza. La richiesta di uno sguardo più attento al lavoro svolto dai gestori nel corso degli anni e di riconoscimenti economici per i sacrifici fatti, compresi gli investimenti in mutui, emerge come un tema centrale nel dibattito.
Tuttavia, è importante ricordare che le spiagge italiane sono un bene demaniale e non proprietà privata, e quindi necessitano di essere accessibili a tutti. I gestori hanno il compito di garantire la manutenzione e la fruizione degli spazi, ma non possono considerare il lido come un’estensione della propria proprietà. La preoccupazione per il futuro deve essere bilanciata con la responsabilità di mantenere l’accessibilità per i cittadini, che non devono essere esclusi dall’uso della spiaggia.
Uno degli aspetti più controversi che accompagna il dibattito sulle concessioni balneari è l’evasione fiscale nel settore. Secondo uno studio di Unioncamere, dei circa 7.173 stabilimenti balneari attivi in Italia, il 68% dichiara ricavi inferiori a 250.000 euro. Tuttavia, queste cifre non possono considerarci che la parte visibile di un iceberg più ampio. Le recenti operazioni della Guardia di Finanza, che hanno portato alla luce casi di lavoro in nero e irregolare in vari stabilimenti, aggravano la situazione. Solo ad agosto 2024, sono stati scovati 188 lavoratori privi di regolare contratto.
Episodi ripetuti di evasione, come quello che ha portato alla scoperta di un titolare che aveva occultato ricavi per oltre un milione di euro, gettano un’ombra sulle dichiarazioni dei gestori e sulla trasparenza del settore. La difficile situazione economica può spiegare il ricorso a pratiche illecite, ma non giustifica completamente la mancanza di un’applicazione delle normative fiscali e lavorative.
Le statistiche parlano chiaro: secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il 66% degli stabilimenti non presenta dichiarazioni sufficientemente affidabili, evidenziando un problema di conformità che va oltre le singole attività. Con una crescente richiesta di maggiore controllo e responsabilità, la situazione dei bagnini e dei gestori rischia di trasformarsi in una sfida non solo per il loro futuro, ma per l’integrità del settore stesso.
Il presidente Casadei ha messo in evidenza l’importanza storica del lavoro svolto dai gestori balneari: “Da 80 anni lavoriamo per lo Stato e la comunità,” afferma, richiamando l’attenzione sulla continua cura e sulla manutenzione del territorio. Un elemento spesso trascurato nel dibattito è l’impatto positivo che queste attività hanno nel garantire un ambiente pulito e sicuro per i bagnanti.
La gestione degli stabilimenti è spesso passata di generazione in generazione, creando un legame profondo tra i proprietari, la costa e la comunità locale. Tuttavia, Casadei sottolinea la necessità di un equilibrio tra il diritto di gestione e le esigenze della collettività: “Non si può pretendere di avere una proprietà privata su una risorsa comune.”
La questione delle concessioni balneari è destinata a evolversi nei prossimi anni, con l’introduzione di gare pubbliche e l’azzeramento delle concessioni storiche. Questa transizione rappresenta sia una minaccia che un’opportunità: se da un lato vi è il rischio di perdere gestori esperti che hanno dedicato la propria vita al servizio della comunità, dall’altro vi è l’opportunità di introdurre criteri più equi e trasparenti per la gestione delle spiagge.
Le gare pubbliche potrebbero anche incoraggiare nuove idee e pratiche che migliorerebbero l’accessibilità e la qualità dei servizi offerti ai bagnanti, imponendo al contempo una maggiore responsabilità nei confronti della gestione eco-sostenibile del litorale. La sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra le esigenze legittime dei gestori e i diritti dei cittadini a godere di un bene comune come le spiagge.