Il tribunale di Napoli ha emesso una sentenza senza precedenti, riconoscendo un risarcimento di 723mila euro ai familiari di un pensionato di Avellino, deceduto nel 2019 a causa di un tumore al fegato. L’uomo si era ammalato di epatite C a seguito di una trasfusione di sangue infetto avvenuta negli anni ’60. La decisione del giudice segna una svolta significativa nella lotta per i diritti dei pazienti danneggiati da pratiche sanitarie inadeguate e promuove una riflessione su come il Sistema Sanitario Nazionale debba affrontare il passato per garantire giustizia agli eredi delle vittime.
La storia di un’ingiustizia sanitaria
La vicenda ha le sue radici alla fine degli anni ’60, un’epoca in cui le tecniche di controllo del sangue non erano ancora adeguate come oggi. Il pensionato di Avellino, soggetto a un intervento chirurgico per una patologia cardiaca, fu ricoverato all’ospedale Cardarelli di Napoli. Durante il ricovero, ricevette diverse trasfusioni di sangue, di cui una o più risultarono infette. Questo evento, sfortunato ma purtroppo non raro all’epoca, portò il paziente a contrarre epatite virale di tipo C.
Negli anni successivi, l’uomo visse con il peso di questa malattia, che nel tempo si trasformò in una condizione oncologica. Fu solo nel 2013 che i segni di una patologia grave cominciarono a manifestarsi attraverso malessere generale e debolezza cronica. I successivi accertamenti medici confermarono la diagnosi di tumore al fegato, una scoperta che si rivelò devastante. Nonostante gli sforzi per la cura, l’uomo morì nel 2019, lasciando un’importante eredità di dolore e ingiustizia ai suoi familiari.
La battaglia legale per il risarcimento
I familiari del pensionato, dopo aver vissuto un periodo di lutto, decisero di intraprendere un’azione legale nel 2020 per ottenere giustizia. A tal fine, si rivolsero all’associazione Tribunale per il Diritto del Malato di Acerra, una realtà che si impegna per tutelare i diritti dei pazienti. L’associazione attivò l’avvocato Maurizio Albachiara, specializzato in casi legali di questa natura, per rappresentare gli interessi dei familiari.
La traiettoria legale si sviluppò lungo un lungo e complesso iter, che culminò nella sentenza della VI sezione civile del tribunale di Napoli. Il giudice ha valutato con attenzione le evidenze presentate, condannando il Ministero della Salute a versare un risarcimento che totalizza, comprensivo di interessi, 723mila euro, da ripartirsi tra i due figli e la nipote del defunto pensionato. Questo risarcimento è stato riconosciuto come risarcimento per il danno derivante dalla perdita del rapporto parentale, un elemento emotivo significativo nel contesto di un’ingiustizia portata avanti per troppi anni.
Implicazioni e casi simili
La sentenza del tribunale di Napoli non solo rappresenta una vittoria per la famiglia del pensionato, ma segna un importante precedente nel riconoscimento delle responsabilità dello Stato per trasfusioni effettuate in passato. L’importanza di questa decisione risiede nella sua capacità di far emergere situazioni analoghe, in cui i pazienti hanno subito danni da trasfusioni di sangue non controllate. Uno dei casi più noti risale al 2019, quando lo Stato fu condannato a risarcire 850mila euro agli eredi di un altro paziente deceduto a causa di un’epatite C contratta anch’essa tramite una trasfusione infetta, risalente al 1989.
Tali sentenze esemplificano una necessità di maggiore attenzione nei processi di controllo e sicurezza all’interno della sanità pubblica. L’attuale legislazione e i protocolli medici devono essere potenziati non solo per prevenire simili episodi in futuro, ma anche per garantire che le vittime e i loro familiari ricevano il supporto e la giustizia che meritano. È un dovere morale e legale del sistema sanitario correggere gli errori del passato, per costruire un futuro più sicuro per tutti i cittadini.