Recentemente, il morbo conosciuto come “mucca pazza” ha destato nuovamente l’attenzione in Italia, questa volta riguardando due allevamenti di pecore situati in provincia di Viterbo. Due focolai di una patologia appartenente al gruppo delle encefalopatie spongiformi trasmissibili hanno portato a operazioni di controllo e abbattimento, sollevando interrogativi e timori non solo tra gli allevatori, ma anche nell’opinione pubblica. È fondamentale dunque comprendere la situazione attuale, i motivi alla base di questi eventi e l’impatto sulla salute pubblica.
La scoperta del morbo e i provvedimenti adottati
Il fenomeno della scrapie, che ha colpito gli allevamenti nel viterbese, è arrivato all’attenzione delle autorità sanitarie attraverso controlli effettuati dall’ASL locale. Come riportato da diverse testate, sono stati individuati casi di questa malattia, che ha già indotto l’abbattimento di 207 ovini in un’azienda a Civita Castellana e di 81 in un’altra a Castel Sant’Elia.
Questa decisione, adottata secondo le normative vigenti, è stata necessaria per limitare la diffusione della patologia. La termina “mucca pazza delle pecore” deriva dalla somiglianza tra la scrapie e l’encefalopatia spongiforme bovina, che ha avuto un devastante impatto nei decenni passati. I prioni, responsabili di queste malattie, colpiscono gli animali portando a un deterioramento progressivo del sistema nervoso centrale, che inesorabilmente sfocia nella morte.
È di rilevante importanza notare che al momento non esiste evidenza scientifica che possa dimostrare la trasmissibilità della scrapie dall’animale all’uomo. Sebbene le autorità competenti stiano monitorando attentamente la situazione, gli esperti rassicurano che il rischio per la salute pubblica rimane sostanzialmente nullo.
Cosa è la scrapie e quali sono le sue caratteristiche
La scrapie è un’encefalopatia spongiforme trasmissibile e viene considerata una delle patologie prioniche più note nel bestiame. Colpisce principalmente pecore e capre, e la sua diffusione avviene per contagio orale, con gli agenti patogeni trasmessi principalmente attraverso materiale contaminato come placenta e pascoli in cui gli animali hanno partorito.
Il morbo si manifesta in maniera subdola, con un lungo periodo di incubazione durante il quale gli animali sembrano apparentemente sani. I sintomi emergono gradualmente e possono includere cambiamenti comportamentali, coordinazione compromessa e prurito intenso, che porta gli animali a grattarsi incessantemente. Questa malattia, proprio come altre encefalopatie spongiformi, è caratterizzata da un decorso degenerativo e, sfortunatamente, non esiste alcun trattamento che possa curare gli animali affetti, portando inevitabilmente alla necessità di abbattimento.
Un aspetto da considerare è la trasmissibilità tra gli animali. Gli esperti hanno dimostrato che il contagio può avvenire sia per via verticale durante il parto, sia per via orizzontale, attraverso il contatto diretto tra animali, specialmente nei pascoli dove le condizioni possono favorire la propagazione del prione.
Le implicazioni storiche della mucca pazza
La recente riscoperta della “mucca pazza” riporta alla memoria eventi storici accaduti negli anni ’80, quando un’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina scatenò un’ondata di panico in tutta Europa, compresa l’Italia. Questo morbo colpì un gran numero di bovini e mise in crisi l’industria zootecnica. Il percorso legislativo e le nuove misure di controllo che ne sono seguiti hanno contribuito a creare un quadro più sicuro per la salute animale e pubblica.
L’infettivologo Marzio Sisti ha evidenziato come questa recentissima situazione rimandi a un capitolo delicato della sanità pubblica che ha, e continua a avere, profonde ripercussioni su molteplici fronti: dalla salute animale a quella umana, fino all’economia agricola. Le lezioni apprese da passate emergenze hanno portato a un rafforzamento delle normative di sicurezza e a un’attenzione maggiore nella gestione della sanità animale, poiché ogni caso segnalato spinge verso azioni preventive fondamentali.
La situazione attuale, pur essendo sotto controllo, esige un continuo monitoraggio e una gestione proattiva per evitare focolai futuri, garantendo così la sicurezza tanto degli animali quanto della popolazione.