Un’operazione straordinaria ha svelato una rete complessa di evasione fiscale legata a 51 società cartiere, che ha coinvolto 54 indagati fra Napoli e Caserta. Questi individui hanno messo a disposizione la loro rete per consentire a 34 ditte operanti nel settore della pelletteria e delle calzature, situate in regioni come Toscana, Campania, Marche e Veneto, di evadere l’Iva. Gli investigatori della Guardia di Finanza e della Polizia Economico-Finanziaria di Pisa e Napoli hanno portato alla luce una maxi frode, non solo a danno delle casse dello Stato, ma anche un sistema di riciclaggio sofisticato che coinvolgeva cittadini cinesi residenti nel capoluogo campano.
La rete di evasione fiscale e il ruolo delle società cartiere
Nel corso delle indagini si è scoperto che le società cartiere adempivano a un ruolo cruciale nella creazione di fatture per operazioni inesistenti. Queste fatture erano essenziali per garantire ai clienti l’illusione di avere una legittimità commerciale, mentre in realtà permettevano di evitare il pagamento delle imposte. Il danno erariale stimato per questo meccanismo si aggira oltre i 46 milioni di euro, accumulato dal 2019 al 2021. Gli inquirenti hanno evidenziato che le fatture false venivano regolarmente pagate dai clienti attraverso bonifici bancari, alimentando un sistema di illecito finanziamento tra Italia e Cina.
Le indagini coordinate dai pubblici ministeri Valentina Maisto e Giuseppe Riccio hanno portato all’emissione di un decreto di sequestro per equivalente da parte del gip di Napoli, colpendo beni aziendali e immobiliari riconducibili agli indagati. La portata dell’evasione mette in risalto la capacità di queste reti di operare in assoluta impunità, eludendo il controllo fiscale e creando una foglia di protezione attorno alle operazioni illegali.
Un sistema di riciclaggio intricato e globale
Il sistema di riciclaggio scoperto dagli investigatori si è rivelato non meno complesso della frode fiscale. Gli indagati, approfittando della presenza di alcuni cittadini cinesi a Napoli, riuscivano a far confluire ingenti somme di denaro su conti correnti cinesi. Si trattava di una manovra consapevole per occultare le origini illecite dei fondi, passando attraverso un labirinto di transazioni internazionali.
Qualora le banche avessero manifestato preoccupazioni riguardo ai bonifici in entrata, il metodo di riciclaggio veniva opportunamente modificato. Le somme venivano trasferite a due società estere, una in Albania e l’altra in Croazia, dove il denaro veniva poi rilanciato verso la Cina. In questo caso, una parte del denaro rimaneva nelle disponibilità di coloro che gestivano le operazioni, creando profitti non dichiarati e alimentando ulteriormente il sistema di evasione.
Questo meccanismo, pur non avendo legami evidenti con attività commerciali reali, puntava a svuotare i conti aziendali e simulare operazioni di importazione, accumulando liquidità e profitto a discapito dei diritti fiscali e del sistema economico legale. La complessità di queste transazioni ha reso difficile per gli inquirenti tracciare ogni singolo passaggio, richiedendo un impegnativo lavoro di ricostruzione.
Le conseguenze per gli indagati e le operazioni future
Tra gli indagati si trovano professionisti del settore, intermediari e prestanome delle varie società cartiere, rendendo il quadro complicato da analizzare. L’indagine mette in luce non solo una frode su larga scala, ma anche il rischio che simili pratiche possano continuare a danneggiare l’economia nazionale, se non adeguatamente contrastate.
Con un danno stimato di oltre 81 milioni di euro per il riciclaggio, la magistratura non ha intenzione di fermarsi qui. Le operazioni della Guardia di Finanza continueranno a mirare a disarticolare questi sistemi di illecito, utilizzando il sequestro preventivo come strumento per limitare la capacità operativa degli indagati e per restituire risorse preziose all’erario.
In questo scenario complesso, è evidente come la collaborazione tra territori e forze dell’ordine possa giocare un ruolo fondamentale nel contrasto a tali fenomeni, tutelando così l’integrità del sistema economico italiano.