L’ergastolo inflitto a Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin si è trasformato in un spunto di riflessione che solleva interrogativi gravissimi sulla tutela delle donne e sul riconoscimento della violenza di genere nel nostro ordinamento. La sorella della vittima, Elena Cecchettin, ha espresso un forte disappunto dopo la sentenza della Corte d’Assise di Venezia, evidenziando la mancanza di attenzione da parte delle istituzioni nei confronti delle donne che subiscono stalking e violenza. La sentenza ha escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking, innescando una polemica accesa e profondi interrogativi sulla vera essenza di giustizia.
L’assenza di riconoscimento per le vittime
Elena Cecchettin ha lanciato un duro appello contro ciò che considera un’ingiustizia inaccettabile. “Il non riconoscimento dello stalking è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne,” ha dichiarato. Il messaggio è chiaro: la condizione delle donne, specialmente quelle vittime di violenza, non sembra essere una priorità . “Sei vittima solo se sei morta,” ha rimarcato, evidenziando la gravità della situazione. Secondo Elena, la mancanza di riconoscimento delle violenze subite in vita da parte delle istituzioni rappresenta un chiaro segnale di indifferenza e disinteresse di fronte alle sofferenze che molte donne sono costrette ad affrontare.
Il fattore di non riconoscimento non solo indebolisce le vittime, ma mina anche la fiducia nei meccanismi di giustizia che dovrebbero proteggere le donne. “Quante donne non potranno mettersi in salvo se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa?” si chiede Elena, mettendo in luce un problema sistemico. La paura e la conflittualità dovute a relazioni violente continuano a presentarsi come un incubo per molti, creando un cerchio vizioso dal quale è difficile uscire. É essenziale, quindi, comprendere che ogni mancanza di azione si traduce in una scomparsa silenziosa delle voci delle vittime.
L’importanza delle aggravanti e della prevenzione
Un altro punto cruciale sollevato da Elena Cecchettin riguarda l’importanza delle aggravanti nel riconoscere e combattere la violenza di genere. “Chi sostiene che tanto la condanna sarebbe stata la stessa non ha capito nulla,” ha affermato, sottolineando come il riconoscimento delle aggravanti possa influenzare il destino di molte donne nel futuro. La questione va oltre la condanna di un singolo caso: si tratta di una scelta fondamentale che determina come la società affronta le dinamiche della violenza.
Elena ha richiamato l’attenzione su un aspetto fondamentale: la violenza di genere non è evidente solo nel momento culminante di un attacco, ma è presente già prima, in forme sottili e insidiose. “Se non iniziamo a prendere sul serio la questione, tutto ciò che è stato detto su Giulia sarà solo parole al vento,” ha ammonito. La riflessione di Elena si fa portavoce di una verità urgente: è fondamentale affrontare l’intero percorso di violenza per cercare di prevenirne gli esiti drammatici.
Il suo richiamo è chiaro e diretto: riconoscere le aggravanti significa non solo fare giustizia nell’immediato, ma anche rispettare le esperienze e i dolori di tutte le donne che si trovano in una situazione simile. Riconoscere la violenza non solo come azione fisica, ma anche come insieme di comportamenti e dinamiche perverse è cruciale per costruire un futuro dove eventi come quello accaduto a Giulia Cecchettin non possano più ripetersi.
La stigmatizzazione della neurodivergenza nella giustifica di atti di violenza
Un ulteriore aspetto emerso dalle dichiarazioni di Elena Cecchettin riguarda il modo in cui gli atti di violenza possono essere giustificati, a volte in maniera inquietante. Riferendosi a una difesa dell’imputato che ha cercato di etichettare i comportamenti di Turetta come “ossessivi, quasi da spettro autistico,” Elena ha accusato questa argomentazione di essere assolutamente inaccettabile. “È vergognoso,” ha affermato, evidenziando quanto sia pericoloso associare comportamenti violenti con diagnosi neurodivergenti.
Secondo Elena, questa giustificazione non solo banalizza atti di violenza inaccettabili, ma alimenta anche pregiudizi esistenti nei confronti delle persone neurodivergenti. “Stiamo parlando di comportamenti che ledono alla libertà e alla vita di una persona,” ha sottolineato, affrontando la necessità di una maggiore sensibilizzazione sulle problematiche legate alla violenza di genere e alla neurodiversità . La lotta contro la violenza non deve essere distorta da argomentazioni che tentano di minimizzare la gravità della situazione.
La questione è complessa e richiede attenzione da parte di tutta la società . Il riconoscimento della violenza di genere e delle sue molteplici forme è essenziale per costruire un futuro più sicuro e giusto per tutti, evitando che eventi tragici come quello di Giulia Cecchettin possano ripetersi.