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Un’operazione della Direzione Investigativa Antimafia, sotto la coordinazione della DDA di Bologna, ha portato al sequestro di un’ingente somma di beni, ammontante a circa 2,6 milioni di euro, nei confronti di due imprenditori, padre e figlio. I due sono sospettati di legami con l’associazione ‘ndranghetistica attiva in Emilia-Romagna. Il sequestro include un totale di 55 immobili situati nelle province di REGGIO EMILIA e CROTONE, oltre a due società operanti nel settore edile, asset finanziari e un veicolo.
Dettagli sul sequestro patrimoniale
L’operazione della Direzione Investigativa Antimafia
Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal Tribunale di Bologna, Sezione Misure di Prevenzione, e rappresenta un’importante azione di contrasto ai fenomeni di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico del nord Italia. Gli imprenditori coinvolti, padre e figlio, si trovano sotto indagine a causa di indizi che suggeriscono un loro apporto all’associazione criminale. L’operazione segue una serie di indagini più ampie che hanno messo in luce le strategie adottate dai gruppi mafiosi per esercitare controllo in aree geografiche lontane dalle tradizionali roccaforti.
Il sequestro di 55 beni immobiliari è indicativo di un patrimonio che, secondo gli inquirenti, non è compatibile con i redditi dichiarati dagli indagati. Oltre agli immobili, le autorità hanno messo sotto chiave anche mezzi e partecipazioni societarie, con l’intento di interrompere qualsiasi attività illecita che possa derivare da questi asset.
Il maxiprocesso ‘Aemilia’ e la sua rilevanza
Aspetti legali e implicazioni penali
Tra i vari procedimenti penali in cui i due imprenditori sono coinvolti, emerge la questione legata al maxiprocesso ‘Aemilia’. Questo processo è considerato una pietra miliare nelle indagini sulla ‘ndrangheta emiliana, in quanto ha messo in evidenza sia le dinamiche interne del sodalizio che le modalità di esecuzione delle operazioni illecite. Secondo la Corte d’Appello di Bologna, ‘Aemilia’ rappresenta uno degli esempi più protratti della capacità della mafia di infiltrarsi nel sistema economico locale.
Nel corso di questo importante processo, è emersa l’esigenza di comprendere come i membri della ‘ndrangheta potessero contare su reti di supporto e complicità , tra cui operativi nel settore finanziario, per perpetuare i loro affari. Questa interconnessione ha permesso loro di gestire un’influenza significativa su vari settori, compreso quello delle costruzioni, creando così un sistema di potere spesso invisibile ma pervasivo.
Dettagli sulla truffa legata all’operazione Grimilde
La falsa sentenza e la truffa milionaria
Nell’ambito delle indagini, è stata rivelata una frode di significativa entità , collegata all’operazione Grimilde. Questo episodio ha visto i due imprenditori accusati di aver messo in atto un inganno ai danni del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In particolare, sono accusati di aver redatto una falsa sentenza, apparentemente emessa dalla Corte di Appello di Napoli, riuscendo a indurre i funzionari ministeriali a trasferire 2,25 milioni di euro a un’azienda a loro riconducibile.
Il piano fraudolento prevedeva non solo la spartizione del denaro tra i due imprenditori e altri membri dell’ndrangheta emiliana, ma anche la collaborazione con esponenti della cosca Grande Aracri di Cutro. Questo dimostra non solo la premeditazione dell’illecito, ma anche la capacità di orchestrare operazioni elaborate per mascherare l’origine illecita delle somme incassate.
Il processo collegato a Grimilde ha già visto i due imprenditori condannati, sebbene non in via definitiva, con pene rispettive di 4 anni e 6 mesi e 8 anni e 3 mesi di reclusione, confermate in appello. Si segnalano aggravanti correlate al loro ruolo nell’ambito della ‘ndrangheta autonoma, evidenziando l’importanza di questo caso nel contesto della lotta contro la criminalità organizzata in Emilia.