Nel panorama linguistico italiano, il Napoletano emerge come il dialetto meno apprezzato, secondo un sondaggio realizzato da Preply. Con il 23% dei voti, supera altre lingue regionali come il Sardo e il Siciliano, facilmente collocandosi in cima a una classifica che non mette in luce solo la percezione della lingua, ma anche questioni legate all’identità e al razzismo meridionale. Questa analisi offre uno spaccato interessante delle dinamiche culturali e sociali in gioco.
Le questioni legate alla definizione del Napoletano come lingua o dialetto sono complesse e sfumate. Sebbene sia etichettato come dialetto, non detiene uno standard di riferimento universalmente riconosciuto. La situazione è aggravata dalla presenza di numerose grammatiche e dalla produzione letteraria contemporanea che scorre nel solco di questa lingua. A differenza di altre lingue regionali, come avviene in Sardegna che ha ricevuto riconoscimento legale, il Napoletano continua a restare in una nebulosa di ambiguità. Tuttavia, la distinzione tra lingua e dialetto è spesso più teorica che pratica per i linguisti, poiché le radici culturali di un idioma non possono essere sminuite solo dalla mancanza di un riconoscimento ufficiale. La ricchezza della lingua e la sua storicità restano elementi fondamentali che ne sottolineano l’importanza.
Un altro dato significativo del sondaggio di Preply è che il disprezzo per il Napoletano non proviene solo dall’esterno, ma anche dall’interno della comunità. Circa il 22% dei partenopei intervistati ha dichiarato di non apprezzare la propria lingua, un dato che suscita interrogativi sulla percezione di sé e sull’identità culturale. A sorprendere è soprattutto il fatto che il Napoletano sembri meno amato dai giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, mentre gli over 55 mostrano un attaccamento più forte alla lingua. Questa inversione di tendenze può suggerire un cambiamento culturale in corso, dove le nuove generazioni si distaccano dalle tradizioni linguistiche a favore di un’adesione a valori più ampi legati alla globalizzazione e alla lingua italiana standard. La mancanza di un forte legame con la tradizione linguistica potrebbe contribuire a questo disinteresse da parte dei giovani.
Il contesto sociale in cui si colloca il Napoletano è segnato da una forma di razzismo, che colpisce in particolare la comunità meridionale. Questo fenomeno non solo diminuisce il valore percepito della lingua, ma spinge anche i napoletani a incoraggiare le generazioni più giovani a “parlare bene”, ossia in italiano. Questo orientamento, che potrebbe sembrare innocuo, nasconde una tendenza distruttiva: stigmatizzare ciò che è radicato nella propria identità può danneggiare la coscienza collettiva e la valorizzazione di una cultura straordinaria. Inoltre, questa disparità di trattamento colpisce anche altre lingue meridionali, evidenziando una scala di pregiudizio che rispecchia una visione distorta delle identità regionali italiane. L’affermazione che il Siciliano e il Sardo, entrambi dialetti del Sud, occupano posizioni sfavorevoli nella stessa graduatoria evidenzia ulteriormente il problema sistematico.
Secondo i dati raccolti, i dialetti settentrionali sembrano godere di una reputazione decisamente superiore rispetto agli idiomi meridionali. Il dialetto ligure, infatti, ha ottenuto solo il 2,6% di giudizi negativi, mentre il dialetto emiliano-romagnolo ha visto una percentuale di disapprovazione del 2,9%. Il toscano, nonostante alcune critiche, è comunque più apprezzato con un tasso di giudizi negativi del 5,1%. Questa preferenza per i dialetti settentrionali suggerisce un’importante riflessione sulle dinamiche socioculturali che delimitiamo in Italia, dove la percezione di una lingua non è solo un affare linguistico, ma si intreccia con le identità regionali, i pregiudizi storici e le aspirazioni future.