Le recenti riprese del programma “Fuori dal coro” di Rete4 hanno messo in luce la grave situazione delle liste d’attesa per le terapie pediatriche presso l’ASL NA3 Sud a Torre del Greco. Un tema che coinvolge molte famiglie e che, purtroppo, è diventato l’ennesima opportunità per veicolare stereotipi sui napoletani, trasformando un’importante denuncia in un servizio sensazionalistico.
Nel servizio di Rete4, la telecamera si concentra su una madre angosciata dal lungo periodo di attesa per le cure del figlio di soli tre anni, affetto da grave ritardo dello sviluppo cognitivo. Per ricevere un trattamento adeguato, il piccolo avrebbe bisogno di terapie specialistiche che, secondo il piano stilato dall’ASL, dovrebbero avvenire cinque volte a settimana. Tuttavia, le liste di attesa nelle strutture pubbliche si allungano, con numeri che testimoniano un’attesa di quasi tre anni per ricevere le cure necessarie.
L’appello della madre, inviato alla redazione del programma, rappresenta una denuncia diretta contro un sistema che non riesce a garantire il diritto alla salute per tutti. Le telecamere di “Fuori dal coro” decidono di inscenare un’inchiesta, recandosi in vari centri riabilitativi per cercare di comprendere la situazione e, allo stesso tempo, rendere visibile un dramma che colpisce molte famiglie napoletane.
Le inefficienze del sistema sanitario pubblico sono un argomento di discussione noto, ma l’inchiesta di Rete4 approfondisce una dimensione particolare: il contrasto tra le liste d’attesa interminabili nel pubblico e la rapidità delle terapie private. Infatti, per le famiglie che possono permettersi di pagare, le sedute di terapia sono immediatamente disponibili, a fronte di 40 euro a seduta. Questo porta a una disparità inaccettabile: mentre alcune famiglie attendono anni, altre riescono a ricevere i trattamenti senza un’attesa, tamponando le carenze del servizio pubblico.
È qui che si annida una delle ingiustizie più grandi, tipica di un sistema sanitario che spesso penalizza coloro che sono meno abbienti, costringendoli a scegliere tra la salute dei propri cari e il proprio benessere economico.
La protesta legittima di una madre, anziché ricevere attenzione e supporto, diventa lo spunto per un servizio che sembra voler mettere in ridicolo la realtà napoletana. La giornalista di Rete4 si reca presso il presidio “Bottazzi” dell’ASL NA3 Sud, ricorrendo a modalità discutibili per guadagnarsi un’intervista con il direttore del dipartimento di salute mentale, dott. Saviano. La situazione è aggravata dal clima surreale in cui viene realizzato il servizio, intriso di riferimenti culturali che finiscono per alimentare pregiudizi, come quando l’attesa del direttore viene disegnata sotto i toni di un’offerta di caffè da parte della sicurezza.
Le riprese del servizio, amalgamate con la colonna sonora di un celebre brano napoletano, servono a costruire un’immagine di napoletani perennemente attaccati alla macchinetta del caffè piuttosto che impegnati nella lotta quotidiana per la salute dei propri figli. Questo comportamento non solo distorce la realtà, ma ostacola anche una discussione seria sulle tematiche sanitarie e le mancanze del sistema.
Mentre il servizio si concentra su elementi superficiali e stereotipati, rimane sullo sfondo il vero dramma della sanità pubblica. Le carenze di fondi, le strutture insufficienti e la continua crisi di risorse sono le vere cause del malessere che affligge il sistema sanitario, in particolare nel sud Italia. Le famiglie si trovano a dover affrontare una realtà complessa e faticosa, dove l’accesso alle cure diventa un lusso.
Le affermazioni del dott. Saviano che cerca di spiegare la problematica durante il servizio si scontrano con un contesto già prefabbricato. In questo scenario, i cittadini continuano le loro lotte quotidiane, affrontando la scarsa disponibilità di strutture ed assistenza, mentre la mediazione tra bisogni e risorse rimane un tema inesplorato e lasciato nell’ombra.
In un clima di crescente critica verso le insufficienti politiche sanitarie, la rappresentazione veicolata da canali nazionali non può e non deve limitarsi a etichettare un’intera popolazione, ma deve riflettere su come le responsabilità siano più complesse e articolate, ben al di là della sola interpretazione narrativa che viene proposta.