Tragedia a San Sebastiano al Vesuvio: il giovane killer 17enne racconta la lite che ha portato all’omicidio

L’omicidio di Santo Romano, avvenuto tra l’1 e il 2 novembre a San Sebastiano al Vesuvio, ha scosso profondamente la comunità locale. Il ragazzo di 19 anni, colpito a morte, è al centro di un drammatico racconto emergente dalle indagini. Il presunto omicida, un 17enne, ha confessato l’atto durante l’interrogatorio, fornendo dettagli inquietanti che mostrano come una lite banale si sia trasformata in una tragedia.

Un litigio scatenato da scarpe sporche

Il giovane killer ha descritto il contesto in cui si è consumato il delitto. Secondo la sua versione, la lite fatale sarebbe stata innescata dal contatto involontario con le sue scarpe di valore, sporche a causa di un amico di Santo Romano. Un semplice incidente ha dunque innescato una reazione sproporzionata, trasformando un momento di tensione in un conflitto violento. Il 17enne ha raccontato che l’alterco è rapidamente degenerato. Al termine di una discussione, il giovane si sarebbe sentito minacciato, portandolo a premere il grilletto della pistola che aveva in mano. Tuttavia, elementi raccolti dai testimoni e tramite le telecamere di sorveglianza mettono in discussione quella motivazione di legittima difesa.

Un testimone ha riferito di aver assistito a un’altra disputa del 17enne, alla quale avrebbe persino puntato la pistola sotto il mento di un altro ragazzo poco prima dell’omicidio. Questo comportamento suggerisce una predisposizione alla violenza già evidenziata nei momenti precedenti al tragico evento. Le immagini delle telecamere mostrano anche Santo Romano che si avvicina all’auto del ragazzo. Quello che sembrava un tentativo di chiarimento si è purtroppo concluso in modo drammatico con un colpo che ha strappato la vita al giovane.

La fuga e la pianificazione del giovane

Dopo aver sparato, il 17enne ha subito abbandonato la scena del crimine, rifugiandosi nei baretti di Chiaia, quartiere di Napoli, dove ha cercato di sbarazzarsi della pistola gettandola in un tombino insieme alla SIM del suo telefono. Questo gesto attira l’attenzione degli investigatori e suggerisce che il minorenne avesse studiato una fuga prima di compiere l’omicidio. La rapidità con cui ha tentato di far sparire le prove ha colto di sorpresa gli inquirenti, i quali hanno avviato le ricerche, riuscendo a rintracciarlo in una residenza nella città partenopea.

Il giudice del tribunale dei minorenni, Anita Polito, ha evidenziato la lucidità con cui il giovane ha agito, nonostante le sue condizioni psichiatriche. Questa lucidità ha portato alla decisione di collocarlo in una struttura detentiva, adempiendo anche alla necessità di tutelare la comunità, vista la sua vicinanza ad ambienti criminali. Le sue azioni, oltre a evidenziare un comportamento premeditato, pongono interrogativi sull’influenza di eventuali fattori esterni sulla sua predisposizione alla violenza.

Il dolore nella comunità e il ricordo di Santo Romano

La morte di Santo Romano ha suscitato una profonda tristezza tra amici e familiari, che lo ricordano come un giovane altruista, sempre pronto a difendere i suoi cari. Quella sera, Romano si sarebbe trovato coinvolto in un litigio non cercato, cercando di proteggere un amico senza alcuna responsabilità nell’incidente iniziale. La tragedia ha messo in luce non solo una grave questione legata alla gioventù e alla violenza, ma ha anche sollevato interrogativi sulla sicurezza e l’influenza negativa delle dinamiche sociali nel contesto attuale.

Questo tragico fatto di cronaca dimostra l’urgenza di affrontare le problematiche legate alla violenza giovanile e alle sue conseguenze, sottolineando l’importanza di programmi di intervento e prevenzione che possano oggi, domani e nel futuro, ridurre il rischio di simili episodi.

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Filippo Grimaldi