A Ercolano, il 18 novembre, un’esplosione devastante ha portato alla morte delle gemelle Sara e Aurora Esposito, insieme al 18enne Samuel Tafciu, all’interno di una fabbrica di fuochi d’artificio abusiva. La drammatica vicenda ha messo in luce il difficile contesto lavorativo delle giovani, costrette a lavorare in condizioni precarie per pochi euro al giorno. I dettagli emersi dai familiari delle vittime pongono interrogativi sul sistema di sfruttamento che ha circondato le due ragazze e sulle responsabilità legate a questa tragedia.
Il contesto dell’esplosione nella fabbrica di fuochi d’artificio
La fabbrica di fuochi d’artificio in cui erano coinvolte Sara e Aurora si trovava in contrada Patacca, un’area di Ercolano notoriamente sfavorevole dal punto di vista della sicurezza. L’esplosione, le cui cause sono ancora in fase di accertamento, potrebbe essere stata innescata da diverse fonti, tra cui una manovra imprudente o la scarsa qualità della polvere pirica utilizzata. Le indagini sono guidate dai Carabinieri, i quali hanno posto sotto inchiesta il proprietario dell’immobile, Pasquale Punzo, accusato di omicidio plurimo colposo e disastro colposo.
Dopo aver presentato ai Carabinieri, Punzo non ha rilasciato dichiarazioni, alimentando speculazioni sulla sua reale responsabilità nella gestione del laboratorio. Un aspetto inquietante emerso dalle indagini è che la baracca era registrata a nome della figlia tredicenne del proprietario, una situazione che potrebbe suggerire un tentativo di occultare la verità riguardo all’attività illegale che vi si svolgeva.
Inoltre, Punzo aveva preso possesso dell’immobile un anno fa, in un contesto evidentemente controverso: affermava di essere stato costretto a dormire in auto con la sua famiglia per risolvere la situazione di occupazione abusiva del precedente inquilino. Queste circostanze pongono interrogativi su quanto il proprietario fosse realmente consapevole dei rischi e delle condizioni di lavoro dei giovani impiegati nella sua attività .
La quotidianità lavorativa delle gemelle Esposito
Sara e Aurora Esposito, da mesi, erano impegnate a lavorare nella fabbrica di fuochi d’artificio, attratte da una retribuzione di 25 euro al giorno. Questo importo, discusso dai familiari delle ragazze, si traduceva in circa 150 euro a settimana, somma che le due dividevano, impegnandosi in un lavoro che era sia pericoloso che irregolare, dal momento che non vi era alcun contratto di lavoro. La loro decisione di intraprendere questa strada lavorativa nasceva dalla necessità di contribuire al bilancio familiare, un aspetto tragicamente rappresentativo di una realtà economica difficile.
Nonostante i tentativi dei familiari per convincerle a lasciare quel lavoro, le gemelle hanno continuato a impegnarsi in attività che comportavano rischi estremi, dovuti alla natura stessa del lavoro con i fuochi d’artificio. Inizialmente, avevano iniziato a lavorare da casa, dove si occupavano di chiudere i botti e montare le micce. Tuttavia, la situazione è evoluta con il trasferimento in un’altra proprietà di Punzo, uno spostamento rifiutato in precedenza proprio a causa delle condizioni non sicure della struttura.
A Ponticelli, le sorelle continuavano a lavorare nel laboratorio di Ercolano, dove, ogni giorno, Punzo le accompagnava, fino a quel tragico incidente che ha segnato la fine delle loro giovani vite. La dinamica del lavoro delle gemelle, spesso sottovalutata, mette in evidenza come molte persone siano costrette a operare in condizioni di sfruttamento, senza alcuna garanzia di sicurezza o diritti lavorativi.
Un’analisi della tragedia e delle sue conseguenze
La vicenda di Sara e Aurora Esposito non è un caso isolato, ma rappresenta un sintomo di un problema diffuso nel sud Italia: il lavoro nero e le condizioni di sfruttamento giovanile. La loro storia, segnata da povertà e necessità economica, mette in luce le vulnerabilità sociali che colpiscono i giovani in contesti precari. La mancanza di opportunità lavorative legali e sicure costringe molti a rivolgersi a lavori pericolosi e non regolamentati.
I familiari delle gemelle, profondamente colpiti dalla tragedia, hanno espresso la loro sofferenza non solo per la perdita delle proprie figlie, ma anche per le circostanze che hanno portato a questa fine tragica. La speranza è che la loro storia possa galvanizzare le autorità , per una riflessione sull’attuale legislazione in materia di sicurezza sul lavoro e il contrasto al lavoro nero, affinché eventi simili non possano ripetersi in futuro.
Questo caso solleva importanti interrogativi sulla responsabilità sociale e legale di chi gestisce attività pericolose e sul dovere di proteggere i lavoratori più vulnerabili. La comunità , ora più che mai, si trova di fronte alla necessità di affrontare la problematica del lavoro illegale, creando un ambiente più sicuro e giusto per tutti.