In Italia, circa 400.000 figli nati da gravidanze anonime attendono la possibilità di scoprire le proprie origini. Questi bambini, abbandonati nelle strutture ospedaliere da donne che scelgono di mantenere l’anonimato, si trovano di fronte a una legge antiquata che limita il loro desiderio di conoscere la verità. Un comitato attivo a Napoli sta spingendo per una riforma legislativa che permetta ai figli non riconosciuti di avere accesso alle informazioni sui propri genitori biologici. La situazione è attualmente sotto esame in Commissione Giustizia, sollevando speranze per una modifica significativa.
Attualmente, la normativa italiana prevede che i figli di madri anonime possano acquisire il diritto di conoscere l’identità della loro madre solo al compimento dei 100 anni. Si tratta di una legge che pochi considerano adeguata in un’epoca in cui nuove tecnologie e banche dati, come quelle del DNA, possono facilitare la ricerca delle origini. Questa restrizione non solo crea un senso di impotenza tra i figli non riconosciuti, ma alimenta anche un dibattito etico sulla trasparenza e il diritto alla conoscenza.
Nel 2013, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che ha permesso ai tribunali di autorizzare il cosiddetto “interpello”, un processo attraverso il quale i figli possono cercare di contattare le loro madri biologiche se queste sono ancora in vita. Tuttavia, nonostante alcune aperture, le barriere legali rimangono. Pertanto, le richieste di modifica della legge esistente sono cresciute negli anni.
La prima richiesta di modifica risale a circa vent’anni fa, quando Domenico Zinzi, parlamentare UDC, ha sollevato la questione in Parlamento. Da allora, ci sono state quattro legislature e diverse proposte, ma tutte senza esito. Tuttavia, la recente proposta di legge, guidata dall’onorevole Gianpiero Zinzi, sembra raccogliere un consenso più ampio, con 38 cofirmatari provenienti da vari partiti politici.
Il nuovo testo prevede che, al compimento dei 18 anni, un figlio possa richiedere tramite il tribunale per i minorenni di stabilire un contatto con la madre biologica. La madre avrà la possibilità di accettare o rifiutare l’incontro, con la garanzia di mantenere riservate le sue informazioni personali. In caso di rifiuto, le informazioni sanitarie essenziali saranno comunque comunicate al figlio. Questa modulazione di approccio ha l’obiettivo di rispettare la volontà della madre senza trascurare i diritti dei figli.
Il Comitato per il diritto alle origini biologiche ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta per ottenere riconoscimento e diritti per i figli non riconosciuti. Questo gruppo posiziona la questione come una priorità sociale e continua a lavorare per influenzare il dibattito pubblico e politico. L’attività del comitato è stata cruciale nel portare alla luce le difficoltà vissute da queste persone e nel richiedere una revisione legale.
A supporto di questa causa, il fotografo Alessandro Fruzzetti ha avviato un progetto artistico che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla difficile esistenza dei figli adottivi. Fruzzetti sta attraversando diverse città italiane per ritrarre queste persone, creando una mostra itinerante per dare voce alle loro esperienze. Recentemente, ha scattato fotografie a Napoli, dove ha collaborato con membri del comitato.
Fruzzetti ha condiviso che il lavoro di fotografia non è solo un viaggio stilistico, ma un’opportunità per dare visibilità a un tema di grande rilevanza sociale. L’artista sottolinea come il processo di scoperta delle origini rappresenti un bisogno vitale per molti figli adottivi, un’esperienza necessaria per colmare un vuoto esistenziale. Questo progetto, in continua evoluzione, mira anche a instaurare una connessione tra i soggetti e il pubblico, promuovendo una riflessione profonda sulle storie umane dietro ai numeri.
Il fotografo si prepara a spostarsi a Roma per il prossimo appuntamento, ampliando la portata del suo progetto per includere altre storie e volti, anch’essi portatori di una narrazione significativa.