Marisa Diana, sorella minore del parroco ucciso dalla camorra, esprime il dolore di una famiglia che ha combattuto per la verità . Dopo anni di attesa e di lotte, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha finalmente riconosciuto le ingiustizie subite dalla famiglia Diana. Il caso, risalente a un articolo diffamatorio pubblicato nel 2003, ha visto la Libra Editrice condannata a risarcire i familiari con 100mila euro. Un segnale di giustizia che non cancella il dolore di una perdita, ma offre una nuova luce sulla figura di don Peppe, un sacerdote che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata.
La vita e la morte di don Peppe Diana
Don Peppe Diana, figura simbolo nella lotta contro la camorra, è stato assassinato il 19 marzo 1994 nella sua parrocchia di Casal di Principe. Colpito da cinque proiettili, il suo omicidio ha scosso profondamente la comunità locale e ha rappresentato un tragico promemoria della violenza dei clan mafiosi. Don Peppe aveva dedicato la sua vita a sostenere le famiglie in difficoltà e a contrastare l’influenza della mafia, dando voce a chi non ne aveva e cercando di risvegliare le coscienze in una zona fortemente segnata dalla criminalità organizzata.
Il suo impegno, purtroppo, lo ha reso un bersaglio e la sua tragica morte ha prodotto un’eco che ha attraversato gli anni. Tuttavia, il tempo non ha cancellato la sua memoria, anzi, la figura di don Peppe Diana è diventata sempre più importante nella narrativa collettiva di chi si oppone alla mafia. La sua morte ha innescato un risveglio, sia a livello locale sia nazionale, sull’importanza della lotta alla criminalità e sull’esigenza di giustizia per le vittime.
Il danno della diffamazione e il risarcimento morale
Il percorso verso la giustizia per la famiglia Diana è stato lungo e tortuoso. La Libra Editrice, responsabile della diffusione di un articolo pubblicato il 28 marzo 2003 sul Corriere di Caserta, ha definito don Peppe camorrista e custode delle armi della mafia, causando un grave danno alla sua reputazione. Segnalato dagli stessi familiari, l’articolo ha sollevato un forte malcontento che ha convinto la famiglia a denunciare la situazione, per ripristinare la verità .
Dopo ventuno anni, il raggio di giustizia si è aperto con la recente sentenza. La somma di 100mila euro stabilita come risarcimento è stata accolta dalla famiglia come un risarcimento morale, simbolo di una verità finalmente raccolta. Marisa ha sottolineato come il risarcimento non possa colmare il vuoto lasciato dalla mancanza di giustizia per i genitori che hanno vissuto troppo a lungo con l’ombra di queste calunnie sulla figura di don Peppe.
La condanna della Libra Editrice rappresenta non solo un giusto riconoscimento per la famiglia, ma una dichiarazione di verità pubblica che contrasta con le menzogne diffuse negli anni. Questo nodo di ingiustizia ha finalmente trovato una sua risposta, portando uno spiraglio di luce tra le tenebre della sofferenza.
Un ricordo che vive nei cuori
Raccontare la figura di don Peppe ai più giovani è stata una delle sfide più complesse per Marisa e i familiari. I nipoti, che non hanno mai conosciuto lo zio, hanno dovuto ricostruire la sua immagine attraverso le parole di una famiglia che ha combattuto per dare dignità alla sua memoria. La difficoltà maggiore risiede nel contrastare le false narrative e le diffamazioni, rendendo giustizia a un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri.
È un viaggio ricco di emozioni e ricordi, in cui ogni familiare si è impegnato per preservare l’eredità culturale e umana di don Peppe. Marisa ha spiegato che è stato difficile comunicare ai figli la verità su di lui, soprattutto in un contesto dove voci infondate prendevano piede. Ma grazie al supporto di molti, il suo ricordo viene onorato e le sue azioni continuano a ispirare generazioni.
Il riconoscimento giuridico emesso dal Tribunale si inserisce in un contesto più ampio di lotta alla mafia, dove ogni gesto, ogni parola, contribuisce a mantenere viva la memoria di don Peppe Diana e il suo impegno per la verità e la giustizia.